Scontro di fuoco Sgarbi-Meyer, il critico: vorrei il direttore italiano alla Scala. La replica: parole che feriscono

7 Dic 2022 21:19 - di Giulia Melodia
Sgarbi

Vittorio Sgarbi rilancia il Made in Italy anche per la Scala. Così, interpellato prima della prima, sul sovrintendente del tempio della lirica milanese commenta senza remore: «Perché la Scala deve avere sempre sovrintendenti stranieri? Risulta che ci sia un direttore italiano al Louvre o all’Opera?». La dichiarazione, rilasciata questa mattina nel corso dell’inaugurazione di Più libri più liberi, la fiera della Piccola e Media editoria, monta col passare delle ore. E quando i microfoni intercettano il destinatario dell’osservazione pungente, la polemica dà fuoco alle polveri. E la replica di Dominique Meyer non tarda ad arrivare, pacata all’apparenza, molto risentita tra le righe: «Io non faccio commenti su questo, io sono in Italia da 30 anni e la prima volta che sono venuto alla Scala era il 1980. Non mi sono mai sentito uno straniero. E mi sento a casa laddove si fa cultura… Sono parole che feriscono. Ho provato pena»…

Botta e risposta tra Sgarbi e Meyer

Eppure nella sua riflessione arrivata ai destinatari come una provocazione – perché la stilettata di Sgarbi includeva anche il sindaco Sala – il critico aveva provato a spiegare pacatamente: «La mia opinione è questa: perché la Scala deve avere sempre sovrintendenti stranieri, posso dirlo o devo avere la delega? Vorrei che almeno due istituzioni italiane, la Scala e gli Uffizi, avessero un direttore italiano. E sono amico degli attuali direttori, ma lo dico come principio. Risulta che ci sia un direttore italiano al Louvre o all’Opera?» ha argomentato il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Esplicitando il concetto, senza rinnegare una parola o tentare di mitigarne gli effetti.

Il critico vorrebbe un sovrintendente italiano

Poi però, cominciano a circolare le parole della replica di Meyer. Il quale, prima esalta l’accoglienza riservatagli dalle istituzioni italiane dicendo: «Io sono stato accolto qui sempre molto bene da 35 anni». Poi enumera curriculum e incarichi: «Sono presidente di varie giurie e sono sempre stato accolto a braccia aperte… Sono 32 stagioni che dirigo l’Opera di Parigi. L’Opera di Vienna. E adesso la Scala. Ho rispetto per questa persona che non conosco (Vittorio Sgarbi ndr), ma che credo non conosca il mio lavoro». Quindi, si riserva l’accento finale: «Mi fa pena essere considerato adesso come un cattivo straniero che non sa fare il suo lavoro». Alla parola pena, la reazione del critico sorge spontanea e accesa. Tanto da innescare una successiva contro-risposta…

Sgarbi-Meyer, la polemica corre sul filo delle parole

E puntuale arriva la replica alla replica di Sgarbi: «Che Meyer sia un maleducato mi pare una buona ragione per valutare l’inopportunità che diriga la Scala. Io non faccio pena a nessuno. La questione è che per tre mandati la Scala è diretta da sovrintendenti stranieri, cosa che mi sembra singolare, come se in Italia non ci fosse nessuno». Stavolta il sottosegretario alla Cultura assesta l’affondo in serata, intervistato a Metropolis. E si capisce l’intero diverbio a distanza si è giocato sulle parole “indigeste”. Perché se a Meyer non è andata giù la parola “straniero”. A Sgarbi è rimasta sullo stomaco la parola “pena” che, ha detto poco fa, «applicata a me è talmente insolente che non mancherò di ricordarmene». Chiudendo con un’ulteriore stoccata: «Meyer abbia rispetto per chi ha difeso le sue scelte. E parli di pena per chi è malato. Io non lo sono». Sottolineando, nelle more, di aver posto «una questione generale e di ordine simbolico». Sarà finita qua?

 

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