L’eredità di Draghi: dopo il voto spuntano i conti pubblici con un buco record e Pil in calo

27 Set 2022 18:54 - di Luisa Perri
Draghi, conti pubblici

Non tornano i conti del “governo dei migliori”: l’eredità lasciata da Draghi è piena di segni (e segnali) negativi. Revisione al ribasso della crescita, verso rialzo delle stime su deficit e debito rispetto ad aprile.

La Nadef a politiche invariate che il governo punta ad approvare entro giovedì tratteggerebbe per il 2023 uno scenario economico in peggioramento rispetto alle previsioni di aprile a causa del perdurare della guerra e dei rialzi dell’inflazione.

A quanto si apprende, con la Nota di aggiornamento al Def verrebbe tagliata la stima del pil tendenziale del prossimo anno sotto l’1%, probabilmente tra lo 0,7 e lo 0,8% rispetto al 2,3% tendenziale e al 2,4% programmatico. Questa revisione impatterebbe il denominatore del deficit e del debito con relativo rialzo. La crescita 2022 chiuderebbe invece con una stima in miglioramento sopra il 3% dal 2,9% a politiche invariate indicato ad aprile e il 3,1% programmatico.

Quei conti di Draghi che finora non vi hanno detto

Il peggioramento del prodotto interno lordo per il prossimo anno comporterebbe circa 20 miliardi di deficit in più portando l’asticella del rapporto con il pil a quasi il 5% contro il 3,7% tendenziale e il 3,9% programmatico del Def di aprile. Su questa scia nel 2023 peggiorerebbe anche la previsione sul debito pubblico in rapporto al pil salendo oltre la stima tendenziale del 145% indicata ad aprile e la 145,2% programmatica. Non è detto che però non continui a calare rispetto al 2022: le stime del Def indicano per quest’anno 146,8% tendenziale e 147% programmatico.

Fatta la Nadef, il governo redigerebbe anche il Documento programmatico di Bilancio da trasmettere a Bruxelles entro metà ottobre indicando solo le spese indifferibili e la spesa corrente. Intanto il 13 ottobre ci sarebbe la prima riunione delle Camere. Toccherebbe poi al nuovo governo presentare la manovra e trasmetterla al Parlamento per l’esame da concludere entro il 31 dicembre.

L’incubo dell’esercizio provvisorio (ma negli Stati Uniti è quasi la regola)

A questo punto ci sarebbero varie ipotesi sul tavolo. Tra queste, la possibilità che l’esecutivo vari una manovra light in linea con il Dpb per un esame rapido in Parlamento e poi destinare ad un decreto legge gli interventi per il 2023, con eventuali scostamenti o, tra le altre ipotesi, quello di varare la manovra vera e propria ma con un iter che si preannuncerebbe al cardiopalma per scongiurare l’esercizio provvisorio in caso di mancato via libera entro l’ultimo dell’anno. L’esercizio provvisorio che non è necessariamente l’Apocalisse per un esecutivo: negli Usa il “favoloso presidente Obama” è successo in più occasioni.

Ma ad essere ristretti non sono solo i tempi ma anche il sentiero entro il quale l’esecutivo potrebbe muoversi. Per confermare le misure minime necessarie servirebbero quasi 30 miliardi. A occhio e croce infatti per rinnovare fino a marzo le misure contro il caro-bolletta dei decreti Aiuti servirebbero circa 14 miliardi; per l’indicizzazione delle pensioni ai rialzi dell’inflazione fino a 10 miliardi; per il taglio del cuneo fiscale 3,5 miliardi. Se poi si varassero anche la flat tax, le misure per azzerare la riforma Fornero e il rafforzamento del cuneo fiscale promessi in campagna elettorale da FdI, Lega e Forza Italia il conto lieviterebbe.

I conti di Draghi saranno sicuramente in ordine, come ha scandito anche recentemente, ma sono altrettanto sicuramente in profondo rosso, Non aiuta neanche il dato del debito delle amministrazioni pubbliche che a luglio ha registrato il record di 2.770,5 miliardi di euro. Rispetto al mese precedente, quando ha toccato i 2.767,9 miliardi, l’incremento è stati di 2,6 miliardi di euro. Un dato contenuto nella pubblicazione di Bankitalia “‘Finanza pubblica: fabbisogno e debito”.

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