Covid, la versione dei rianimatori: «Nessun allarme dalle terapie intensive, la variante fa meno danni»

1 Lug 2022 15:53 - di Mia Fenice
Covid

In questa fase di forte rialzo dei contagi da Covid-19, la situazione delle terapie intensive italiane “non preoccupa” perché «per fortuna siamo di fronte a una variante» di Sars-CoV-2 «molto più contagiosa, ma meno grave». In autunno, però, «se dovesse arrivare una variante con maggiore patogenicità, potremo essere in difficoltà perché il sistema mostra ancora criticità. Non è cambiato molto rispetto al 2020 e non sono state fatte strategie uniformi a livello dei 21 sistemi sanitari regionali. Qualche miglioramento c’è stato, ma non quelli che ci aspettavamo». Così Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani – Emergenza area critica (Aaroi Emac), sentito dall’Adnkronos Salute.

Covid, i rianimatori: «Quello che conta è il tasso di ricoveri ospedalieri»

Sull’attuale quadro epidemiologico, il leader Aaroi ricorda: «Come sempre detto ciò che conta per noi non è tanto il tasso di positività», dunque le percentuali relative al contagio, «quanto il tasso di ricoveri ospedalieri, e particolarmente quelli in terapia intensiva, che sono di fatto gli indici più fedeli per valutare da un lato l’evoluzione epidemica e dall’altro l’incidenza patologica della diffusione virale».

Covid, con Omicron 5 sintomi meno preoccupanti

Il leader del sindacato dei rianimatori, rimarcando come Omicron 5 «statisticamente provoca sintomi clinici di gran lunga meno preoccupanti» di altre varianti, riferisce che «negli ultimi giorni non riscontriamo quel livello di polmoniti così devastanti come in altre fasi, per cui la nostra impressione è che siano pazienti che arrivano in rianimazione con Covid, ma non a causa del Covid».

A tal proposito, secondo Vergallo, questo «sarebbe il momento giusto per valorizzare la distinzione tra pazienti con Covid e pazienti per Covid, e scremare effettivamente le diverse coorti di pazienti». «Ci preoccupa invece – sottolinea il presidente Aaroi – il fatto che, ad oggi, qualunque isolamento di pazienti per o con Covid, anche se con numeri bassi, causa un impatto sul resto delle cure ospedaliere, e sulle liste di attesa che in tutti questi mesi sono state rallentate o bloccate».

Il sistema «non è cambiato molto rispetto al 2020»

Quanto ai timori per l’autunno, Vergallo rimarca come «di fatto, rispetto alle roboanti intenzioni, più o meno dichiarate, di potenziamento degli ospedali, di moltiplicazione dei posti letto nelle terapie intensive, in realtà non è cambiato molto rispetto al 2020, non sono state fatte strategie uniformi a livello dei 21 sistemi sanitari regionali. Per esempio – evidenzia – c’è ancora la diatriba se avere ospedali dedicati al Covid o creare “bolle Covid” negli ospedali generali. Ancora questa strategia non ci è chiara», denuncia. «Noi ci adattiamo a tutto, e siamo pronti come abbiamo fatto nelle prime ondate, ma non rileviamo nel sistema effettive implementazioni – ribadisce – né di organizzazione né di strutture, nella misura che ci aspettavamo».

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