Donne, Ricolfi: «Altro che patriarcato, è la sinistra che le esclude: sempre sottomesse al capo»

22 Gen 2022 8:57 - di Sveva Ferri
donne sinistra

Il dato di cronaca lo aveva già sottolineato Enrico Mentana qualche giorno fa, in occasione dell’elezione di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo: le donne al vertice della politica nell’Ue e in Italia sono tutte di destra. Oggi Luca Ricolfi approfondisce il tema in un commento su Repubblica, intitolato «Che cosa esclude le donne». Un titolo assertivo, dunque, che svela come la domanda cui è affidata la conclusione della riflessione sia, in realtà, retorica: «Non sarà che l’esclusione delle donne dal potere è, innanzitutto e non solo in Italia, un problema della cultura progressista?». Insomma, la tanto sbandierata cultura di sinistra delle pari opportunità è, per Ricolfi, solo un esercizio accademico, che nella pratica invece si traduce nel suo esatto contrario.

Il «patriarcato?». Solo «una pseudo-spiegazione»

Il sociologo parte dall’analisi dei fatti italiani: è vero che esiste un gap nella presenza femminile ai vertici delle istituzioni, dalle università, dove solo solo 7 rettori su 84 sono donne, alla politica, dove mai c’è stata una donna presidente della Repubblica o del Consiglio. Poi si domanda da cosa dipenda «questa stortura», rigettando la «pseudo-spiegazione» delle «paladine della causa femminile» che attribuiscono la sotto-rappresentazione alla «sopravvivenza del patriarcato». Un proclama che, sottolinea Ricolfi, «si limita a dare un nome a un fenomeno di cui non è in grado di ricostruire i meccanismi». Dunque, «se vogliamo capirne di più, è meglio circoscrivere gli ambiti e delimitare il campo», è il monito.

Il cambio di passo del 2019

Il sociologo, quindi, ribalta il ragionamento. Piuttosto che concentrarsi sul fenomeno consolidato – la scarsità di donne ai vertici – vale la pena concentrarsi sul fenomeno nuovo: l’emersione dal 2019 di figure femminili che hanno assunto leadership di primissimo piano politico. «Come hanno fatto le donne, nel giro di 3 anni, a occupare praticamente tutte le posizioni apicali del potere politico-economico in Europa, sbaragliando i concorrenti maschi?», è la domanda, seguita da una rapida carrellata di casi: «Luglio 2019: Christine Lagarde designata a succedere a Mario Draghi al vertice della Bce; nello stesso mese, Ursula von der Leyen eletta presidente della Commissione europea. Ottobre 2019: Kristalina Georgieva, economista e politica bulgara, nominata direttrice del Fmi. Gennaio 2022: in seguito alla scomparsa di David Sassoli, la politica maltese Roberta Metsola eletta presidente del Parlamento europeo».

Le donne ai vertici sono e sono state tutte di destra

Ricolfi entra, poi, nel merito analizzando i profili delle donne leader politici e svolgendo una osservazione «ancora più interessante per gli studiosi di discriminazione e parità di genere». «Se ci chiediamo quante e quali siano le donne che, negli ultimi 50 anni, siano state capaci di diventare leader politici di peso nei principali Paesi occidentali – sottolinea – scopriamo che sono solo 7, e che c’è un unico tratto che le accomuna. Margaret Thatcher e Theresa May nel Regno Unito; Marine e Marion Le Pen in Francia; Angela Merkel e Ursula von der Leyen in Germania; Giorgia Meloni in Italia. Vengono tutte da destra, come da destra, peraltro, vengono le altre tre donne che negli ultimissimi anni hanno raggiunto posizioni apicali nella Bce, nel Fmi e al Parlamento europeo (sempre da destra veniva Simone Veil, prima presidente del Parlamento europeo)».

Per le donne «a sinistra domina la cooptazione, a destra il merito»

«Dunque, cari amici studiosi di discriminazione ai danni delle donne – avverte Ricolfi – la domanda più interessante non è perché così spesso le donne non ce la fanno ma, semmai, perché per farcela devono essere di destra». «Una risposta possibile – prosegue il sociologo – è che, nei meccanismi che regolano le carriere politiche, a sinistra è ancora dominante la cooptazione, mentre a destra c’è anche un po’ di meritocrazia». «Le donne di destra non paiono avere remore a sfidare in campo aperto i rivali maschi, mentre quelle di sinistra troppo spesso paiono attendere la chiamata del capo, umili e ossequiose come le donne di un tempo», prosegue Ricolfi, ricordando anche che «al di qua come al di là dell’Atlantico, le uniche donne di sinistra arrivate a sfiorare ruoli di comando nazionali – Ségolene Royal e Hillary Clinton – siano state in partita anche in virtù del loro essere “mogli di”».

L’affondo di Ricolfi al Pd e alla cultura progressista

Poi un passaggio specifico sull’Italia, dove il giudizio verso la sinistra è più che impietoso: «Come non notare che il Pd, a parole paladino della parità uomo-donna, non ha indicato alcuna donna come ministro del governo Draghi? O come non osservare che, per avere due donne capogruppo in Senato e alla Camera, si sia dovuto scomodare il segretario del partito, che le ha imposte dall’alto ai suoi deputati e senatori? Insomma, visto come sono andate le cose – conclude Ricolfi – è difficile sfuggire al dubbio: non sarà che l’esclusione delle donne dal potere è, innanzitutto e non solo in Italia, un problema della cultura progressista?».

Dunque, anche Ricolfi sottolinea come la sinistra farebbe meglio a tacere e a prendere esempio, come aveva già fatto Enrico Mentana, parlando di «una lezione per la sinistra» dopo l’elezione di Roberta Metsola a Strasburgo.

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