Il film sul delitto del Circeo, nel mondo cattolico c’è chi dissente: titolo fuorviante e radical chic

7 Set 2021 17:24 - di Valeria Gelsi
scuola cattolica

Amarezza nel mondo cattolico per il film di Stefano Mordini sul delitto del Circeo. Il titolo della pellicola, presentata a Venezia fuori concorso, è La scuola cattolica, come l’omonimo libro di Edorardo Albinati da cui è tratto. C’è un motivo: il racconto sposta l’attenzione dal contesto «fascista», cui certa narrazione ha tradizionalmente attribuito l’orrenda violenza esercitata da Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido su Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, nella villa dei Ghira al Circeo, a un altro contesto, che finisce per essere incarnato qui, appunto, nella scuola cattolica San Leone Magno, frequentata anche dallo scrittore Premio Strega del 2016.

Le intenzioni del regista

Proprio questa lettura sociologica, che scansa quella politica, però, fanno notare gli osservatori cattolici, deprime l’intento meritevole del film, enunciato dallo stesso regista, ovvero quello di concentrare l’attenzione sulla violenza di genere, al di là dei contesti, presunti politici o sociali che siano. «Volevamo raccontare come l’uomo si permette di esercitare una violenza gratuita per scopi gratuiti sul femminile. Non c’è necessariamente un conflitto politico, c’è senz’altro un conflitto tra uomo e donna. Non c’è necessariamente un conflitto di classe: l’impunità c’è nelle borgate come nella borghesia», ha spiegato il regista.

Avvenire: «Il film induce in equivoco»

Avvenire, in un articolo intitolato «La vergogna dell’impunità rivivendo il delitto del Circeo», sottolinea che però «purtroppo il film non riesce ad approfondire e a indagare le radici del male come farebbe credere e induce, ugualmente al romanzo, a un equivoco di fondo sulla realtà della cosiddetta “scuola cattolica”. Il limite dunque sta nel rischio di generalizzare banalmente e trascurare, con una lettura superficiale, l’ispirazione etica degli istituti cattolici, che hanno quale obiettivo tanto dare formazione quanto trasmettere principi e valori in tutti gli ordini di istruzione».

Suor Alfieri: «Sulla scuola cattolica un déjà vu radical chic»

Suor Anna Monia Alfieri, dal 2016 membro della Consulta di Pastorale scolastica e del Consiglio Nazionale Scuola della Cei, citata anche da Avvenire, ha commentato la pellicola «dalle recensioni lette fa un torto allo spettatore, come il libro al lettore». «Lo tradisce, raccontando senza contezza una scuola dedicata alle elite e ai privilegiati. In una interpretazione inverosimile, un déjà vu radical chic che viene da quel mondo e lo vuole lasciare così. Perché emancipare il povero è pericoloso», ha aggiunto la religiosa, rivendicando che «nelle sue ragioni storiche la scuola paritaria è “per e dei” poveri», sebbene «una stortura culturale e una cattiva burocrazia» abbiano privilegiato «letture ideologiche» che infine, è il ragionamento di suor Alfieri, hanno portato a fenomeni come quello delle rette esorbitanti, che ha chiuso l’accesso alla libertà educativa per tutti, che potrebbe essere garantita dalla «gratuita delle cattoliche paritarie».

Adinolfi: «Basta con questo pregiudizio anticattolico»

È stato poi il presidente nazionale del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi, a presentare il caso de La scuola cattolica al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, chiedendogli «il senso del finanziamento pubblico a quest’opera». «Da cattolico e da ex studente di scuola cattolica maschile», Adinolfi ha spiegato di trovare «davvero offensivo» il nesso che si stabilisce tra «l’orrendo eccidio del Circeo» e la scuola cattolica, «inducendo un’associazione tra questa istituzione e la violenza più bieca». «Non se ne può più», ha quindi protestato, sottolineando che «sembra che in questo Paese sputare sulla Chiesa Cattolica e sulle sue istituzioni più diffuse, come le sue scuole appunto, sia ormai necessario per essere accettati da chi comanda». «Ma adesso anche basta. Chiedo al ministro Franceschini il senso del finanziamento pubblico a quest’opera densa, come il libro, di pregiudizio anticattolico, che a Venezia – ha concluso Adinolfi – scorre a fiumi».

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