Palamara e il trojan “a intermittenza” spento dagli investigatori alla cena con Pignatone

6 Apr 2021 11:09 - di Paolo Lami

A Pasqua e Pasquetta li ha lasciati tranquilli, indaffarati a spolpare abbacchi e ad abbuffarsi di uova di cioccolato ma, gettate le feste alle spalle, Luca Palamara torna subito a tormentare i sonni dei suoi ex colleghi, in particolare di quella parte di magistratura “ipocrita”, dice l’ex-pm romano, che vorrebbe chiudere in fretta e furia la faccenda accollandogli tutta la colpa.

Un fardello che Palamara fa sapere, per l’ennesima volta, di non essere disponibile a portare senza fiatare. Insomma venderà cara la pelle.

E, tanto per iniziare, torna sulle oramai famose cene durante le quali, assieme ai deputati Pd e renziani, alcune toghe, in rappresentanza delle correnti della magistratura, decidevano i destini delle Procure più importanti mettendo al posto giusto i tasselli del puzzle e disponendo quali auguste terga potevano occupare le relative poltrone di vertice.

Un gioco che è andato avanti per anni perché, ricorda Palamara, andava bene a tutte le correnti della magistratura. Il meccanismo si è inceppato con le intercettazioni di quelle cene da parte della Procura di Perugia.

Intercettazioni, obietta Palamara, mandando di traverso l’abbacchio pasquale ad alcuni ex-colleghi, fatte, però, con il criterio di figli e figliastri.

“Nessuno può fermare la verità dei fatti – avverte l’ex-pm in un’intervista al Tempo – Il 3 maggio del 2019 mi è stato inoculato un trojan che ha intercettato una cena presso l’hotel Champagne durante la quale si discuteva della successione di Pignatone alla Procura di Roma…”.

”Da quel momento – ricostruisce Palamara – una parte della magistratura ha voluto, in maniera ipocrita, considerarmi il capro espiatorio da immolare sull’altare della continuità e della conservazione. Sono stato radiato per aver partecipato a questo incontro, senza avere la possibilità di audire i testimoni e per questo motivo ho fatto ricorso alle Sezioni Unite civili della Cassazione“.

“Lo strumento del trojan – dice l’ex-presidente dell’Anm – usato per figure istituzionali è un punto di non ritorno. Soprattutto quando viene azionato ad intermittenza… Interessante sarebbe domandarsi e magari avere una risposta verosimile come mai la cena del 9 maggio il trojan rimase in silenzio quando eravamo insieme con Pignatone”.

”Oggi faccio parte della Commissione Giustizia del Partito Radicale – spiega – Come venivano gestiti gli incarichi tra magistrati? È un meccanismo al quale hanno partecipato tutti gli aderenti alle correnti. E sarebbe bello che a raccontare come funzionava il do ut des, non fossi solo io ma i diretti interessati a prescindere dalle chat contenute nel mio telefono“.

Palamara affronta anche il tema delle possibili querele nei suoi confronti. C’è la fila di ex-colleghi tirati in ballo con le chat e ora pronti a querelarlo.

“Penso che” le querele “costituiranno l’occasione per chiarire davanti ai giudici e all’opinione pubblica come realmente ha funzionato il meccanismo delle correnti”, sostiene l’ex-presidente dell’Anm.

”In ogni caso – si premura di dire Palamara – voglio rassicurare che il mio racconto altro non costituisce che il mio punto di vista suffragato da chat, documenti e testimoni sulle modalità del conferimento degli incarichi all’interno della magistratura”.

”Il caso Salvini – spiega l’ex-magistrato della Procura romana richiamando la chat emersa a Perugia nella quale lo si sente dire ad un collega “c’è quella merda di Salvini”  – si inserisce in questo contesto. In realtà la chat divulgata – e sarebbe interessante capire l’uso pubblico che è stato fatto del mio cellulare finito in troppe redazioni di giornali – era una conversazione informale e del tutto privata tra me e un collega nella quale ammettevo candidamente che la logica di corrente e di appartenenza aveva Salvini come nemico“.

Ma Palamara ammette di avvertire “il peso di aver trasformato il tema della giustizia in un argomento di discussione di massa. La mia battaglia di verità non è fatta contro qualcuno ma ha l’obiettivo di squarciare il velo di ipocrisia che, all’interno della magistratura, esiste pretendendo di processare Palamara ed i suoi amici sulla base di chat private“. Insomma il vero spettacolo deve ancora cominciare.

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