Nessuno parla della crisi del turismo. E gli stranieri sono pronti a fare shopping dei nostri “gioielli”

23 Set 2020 16:09 - di Riccardo Pedrizzi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

I numeri del turismo in Italia sono rosso fuoco come il solleone d’agosto, il mese più nero degli ultimi anni per il turismo italiano, causa Covid, ma non solo. Cento miliardi in meno rispetto all’anno scorso, 65 milioni di presenze perse soltanto nel periodo giugno-agosto in un comparto che  oltre il 13% dell’intero prodotto interno lordo nazionale ed occupa in modo più o meno stabile circa 4,2 milioni di addetti.

Nessun “vaccino” contro la morte del turismo in Italia

Qualche giornale ha parlato di “ecatombe”, macabro aggettivo in stile Covid decisamente appropriato per le stime sull’occupazione: a giugno sono stati persi oltre 100 mila posti di lavoro stagionali (-58,4%) e per i successivi mesi ci sono altri 140 mila posti di lavoro temporanei a rischio. “L’assenza dei turisti stranieri si stima siano stati 25 milioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, – dichiara Marina Lalli, Presidente di Federturismo – una battuta d’arresto purtroppo destinata a proseguire anche a settembre. “Settembre sarà decisivo: rischiamo la chiusura definitiva del 30% delle imprese con un danno per l’occupazione ma anche per l’indotto di enormi proporzioni”. Secondo le stime di Federturismo: la ristorazione calerà del 60% ed a ottobre rischia di abbassarsi al 70%, i porti turistici -10% ed anche gli scali da diporto avranno un 20% in meno di traffico; le terme -67% da gennaio a settembre hanno perso 327 milioni di euro, il 30% delle strutture è rimasto chiuso.

L’emorragia di posti di lavoro

Attualmente  il comparto prevede di perdere 350 mila addetti stagionali. Il 20% delle strutture rischia di chiudere definitivamente e comunque non ha aperto nemmeno. “Ben 50 mila imprese del settore rischiano il fallimento a causa della perdita di solidità finanziaria, con una contrazione del fatturato di almeno 12 miliardi di euro” – segnala Raffaele Rio, presidente dell’Istituto Demoskopika – .

A giugno le presenze negli hotel d’Italia hanno registrato un crollo dell’80 % rispetto allo stesso mese del 2019 a causa dell’assenza (-93,2%) della clientela estera ed oltre a più dei due terzi di quella italiana. A luglio l’83% degli hotel, secondo l’Osservatorio di Federalberghi, ha visto un fatturato più che dimezzato. Nel 62,7% dei casi poi il crollo è superiore al 70%. Ad agosto il crollo è stato del 70% perché si sono persi 3,6 milioni di visitatori provenienti dall’estero con mancati incassi per quasi due miliardi, la metà rispetto a quelli dell’anno precedente. “E’ una tragedia e non si vedono segnali di una ripartenza secondo Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, chi ha aperto pensa di richiudere”.

Gli interventi soft del governo Conte

A fronte di questo crollo drammatico non appaiono adeguati gli interventi previsti dal governo, che tuttalpiù servono a tamponare l’emergenza temporaneamente ma non mettere le basi per una ristrutturazione ed un rilancio strutturale del settore.

Infatti il bonus vacanze si risolve in effetti in un credito d’imposta da utilizzare nella dichiarazione dei redditi del 2021, quindi praticamente aggrava la crisi di liquidità delle aziende. La decontribuzione sulle assunzioni dei lavoratori stagionali va bene ma sarebbe stata più efficace su sei mesi anziché su tre. Bene anche l’annullamento della rata Imu di dicembre, ma si sarebbe dovuto estendere anche agli alberghi con gestori diversi dai proprietari, che sono il 50%. Per il settore resta confermata la previsione di una perdita di ricavi attorno al 70-80% su un giro d’affari di 20 miliardi: “nelle grandi città gli alberghi sono ancora chiusi in molti casi” – dichiara Maria Carmela Colaiacovo, Vice Presidente di Confindustria Alberghi -. Nei 33mila hotel del paese (2,3 milioni di posti letto) lavoravano prima del covid 220 mila addetti. Ora gli occupati sono non più del 20%, stando alle ultime stime.

E per Massimo Caputi, Presidente di Federterme, le misure del Decreto agosto “hanno un respiro corto, puntano a salvare una stagione e non gettano le basi per una ripresa vera nel 2021”. Il comparto quest’anno prevede perdite attorno al 60-65% dei ricavi, che l’anno scorso, con 60 mila addetti diretti, hanno superato il miliardo e mezzo. “E – conclude – la dote di 160 milioni verrà bruciata in un click day di due secondi, sinceramente ci aspettavamo qualcosa di più”… “Vengono dati 500 milioni a fondo perduto per attività commerciali dei centri storici, più del triplo dei crediti di imposta per tutte le aziende turistiche. Lo ripeto non si risolve la situazione con le mance, servono interventi forti, mirati e di lungo periodo”.

Tutto ciò dimostra che quando si parla di turismo si parla di una delle principali fonti di ricchezza per il nostro paese, seconda per portata solo al settore industriale. Questo ci deve indurre ad alcune serie riflessioni.

Cosa fare per rilanciare il comparto

La prima, per creare stabilità nelle prospettive di sviluppo o quantomeno di consolidamento del fatturato annuo non possiamo continuare a sperare in favorevoli condizioni congiunturali.

La seconda considerazione è che non si può (sarebbe anche moralmente deplorevole) sperare di avvantaggiarsi, sine die, di sfavorevoli situazioni economico/politiche dei paesi nostri concorrenti.

Allora per consolidare e sviluppare la nostra posizione è indispensabile contare su fattori che possano creare le premesse per una ripresa ed una stabilità nei flussi turistici.

Questi fattori sono innanzitutto, una elevata qualità dei servizi offerti: dalle strutture proprie del settore e da quelle comunque ad esse collegate, ovvero di quelle infrastrutture indispensabili al buon funzionamento dei servizi turistici, quali i trasporti di ogni tipo, strade, porti, aeroporti stazioni, treni ecc. ecc.; la qualità dell’ambiente, che non vuol dire solo rispetto e cura per i fattori ecologici naturali, ma vuol dire pure cura della “vivibilità”;

una prevenzione adeguata e la repressione della microcriminalità, per “fidelizzare” il turista, uno straniero “scippato” non solo non tornerà più, ma farà da megafono propagandistico antitaliano, evitando di offrire una immagine disordinata, disorganizzata della nostra società e delle nostre città.

L’urgenza del momento richiederebbe che le istituzioni intervenissero con velocità per operare il rilancio del settore.

Gli investimenti poderosi fatte dal Giappone

Tanto per fare qualche raffronto: il Giappone ha varato un piano per il turismo di 11,5 miliardi di euro, avendo subito un crollo del 19,9%, che servirà a far ripartire anche il traffico aereo in vista delle olimpiadi del prossimo anno. Il Regno Unito ha ridotto l’IVA dal 20% al 5% per tutta l’ospitalità ed il turismo e per il mese di agosto ha pagato il 50% del conto di tutti i pasti consumati al ristorante ed al pub. La Spagna ha previsto 10 miliardi per dare liquidità a tutto il settore tramite l’Istituto de Credito Oficial, concedendo una moratoria per il pagamento delle rate di mutuo e prorogando i rimborsi dei prestiti concessi dal Ministero dell’Industria Commercio e Turismo.

Noi con il Decreto rilancio abbiamo messo a disposizione del settore 4 miliardi consistenti prevalentemente nel “Credito Vacanze”, poi ci sono i 500 milioni di euro a fondo perduto per le attività commerciali dei centri storici delle cosiddette città d’arte (si tratta di 29 tra capoluogo di provincia e città metropolitane, tutte le altre città restano fuori).

Bisogna tener conto però che un ruolo primario spetta alle Regioni ed alle Provincie autonome. Ad esse infatti lo Stato demanda espressamente la gestione delle politiche in materia turistica e ad esse spetta in buona parte l’iniziativa di realizzare con opportuni stanziamenti opere che tendano alla valorizzazione, in chiave ambientale e turistica, delle aree amministrate.

Rilevanza enorme hanno zona per zona i comuni, i consorzi di comuni, gli enti di promozione turistica.

Ma se è vero che in questi mesi si è registrato il crollo totale per motivi sanitari è altrettanto vero che bisognerebbe approfittare di questa tragedia per investire nel miglioramento ed ammodernamento delle strutture aziendali, utilizzando anche i finanziamenti agevolati. Molte situazioni di crisi, però, sono dovute anche a difficoltà preesistenti che si sono ulteriormente aggravate. Spesso il consistente peso dei debiti a medio/lungo termine, per preesistenti mutui, evidenziavano già una situazione di generale indebitamento che è diventata insostenibile con la chiusura totale delle attività e, nella migliore delle ipotesi, con la debole ripresa. Va rilevato che già nel passato le opportunità del mercato spesso non erano state colte e parte della domanda è rimasta addirittura insoddisfatta a causa della parziale inadeguatezza delle strutture ricettive.

Va dunque considerata la necessità di una ristrutturazione e per certi versi la riconversione degli impianti per andare incontro alle diversificate, più sofisticate e sicuramente nuove richieste di un mercato, che si presenta con connotazioni notevolmente mutate rispetto al passato. E’ evidente il ruolo che possono avere le istituzioni statali per una politica tesa a favorire ed a sostenere lo sviluppo dell’industria alberghiera e del turismo in Italia.

L’esigenza di creare di nuovo un ministero ad hoc

E c’è da dire che un settore economico cosi rilevante per fatturato, occupati, benefici influssi sulla bilancia valutaria, meriterebbe quanto meno di essere seguito da un ministero ad hoc come per il passato, prima che i referendum abolissero il ministero del turismo.

D’altro canto uno dei paesi mediterranei a più alta vocazione turistica, la Spagna, ha adottato ormai da diversi anni un sistema più trasversale per poter seguire adeguatamente le numerose problematiche del settore turistico, considerato settore strategico per la politica economica dei prossimi anni.

Una cosa è certa: dall’assetto del sistema di riferimento istituzionale dipenderà l’incisività con cui l’apparato pubblico riuscirà a dare sostegno al settore. (Qui mettere le proposte di Federalberghi e Caputi).

Ma poi vi sono gli strumenti creditizi specifici rivolti all’industria alberghiera ed a quella turistica, che dovrebbero essere approntati e messi a disposizione dal sistema bancario.

In Italia, a differenza di altri paesi industrializzati, si è sempre guardato al credito a medio termine solo nella prospettiva di avere la possibilità di accedere ad agevolazioni, piuttosto che in termini di razionalizzazione delle risorse finanziarie e dei mezzi occorrenti per il funzionamento dell’impresa. Questo è un fenomeno diffuso in tutti i settori economici del nostro Paese. Al punto che c’è una vera e propria identificazione del credito a medio termine con il credito agevolato. Questa brutta abitudine ha prodotto gravi distorsioni nei bilanci delle imprese, facendo registrare un rapporto anomalo tra indebitamento a breve e quello a medio/lungo termine.

Il fenomeno interessa ovviamente anche le aziende turistiche ed alberghiere in particolar modo, per cui bisogna proprio valutare con attenzione la componente di credito a medio e lungo termine, considerandola come elemento fondamentale per equilibrare l’assetto finanziario dell’impresa, fortemente compromesso dal blocco dell’attività determinata dal coronavirus. E ciò, si badi bene, a prescindere ed indipendentemente da eventuali agevolazioni cui poter far ricorso ed agli interventi straordinari che dovrà pur “inventarsi” e mettere a disposizione lo Stato per rilanciare il settore.

Per quanto riguarda gli incentivi creditizi, un ruolo fondamentale dovrà essere svolto appunto dalle Regioni, nell’ambito delle proprie competenze in materia turistica, per progetti strategici. Tutto è dunque nelle mani delle singole Regioni che in relazione alla specifica vocazione del territorio dovrebbero con velocità emanare provvedimenti adeguati in questo settore. Vorrei inoltre sottolineare come il vero problema in definitiva non sia tanto o solo, però quello del reperimento delle risorse finanziarie, ma piuttosto quello dello snellimento delle pratiche burocratiche per accedervi e, sopratutto, il coordinamento delle varie iniziative finanziarie, per sfruttare al meglio le varie risorse pubbliche (comunitarie, statali e regionali).

Il ruolo strategico delle Regioni

Di fronte ad una ancora troppo approssimativa definizione delle competenze e sopratutto della funzionalità della istituzione centrale pubblica, sono le Regioni ad avere il vero ruolo strategico e di assistenza per gli operatori. In effetti in altri paesi europei da tempo, il ruolo degli investimenti pubblici sta subendo una radicale ristrutturazione.

Infatti tale piano si pone come progetto coordinato di aiuti pubblici al fine di valorizzare in pieno le sinergie tra gli aiuti comunitari, stanziamenti statali ed interventi di enti locali. Evidentemente ci si è accorti che in un settore strategico nazionale, non è possibile procedere senza che vi sia coordinamenti nelle strategie d’insieme e negli indirizzi politici. Se ciò non dovesse realizzarsi – e presto – già ci sono all’orizzonte fondi di private equity stranieri (cinesi, americani, francesi, ecc. ecc.) pronti a fare shopping in questo settore, come è già successo per la filiera del lusso italiano, essendo interessati non a singoli alberghi ma ad intere catene del settore.

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