Questione di logica. Ecco perché è tartufesco addossare a Trump la morte di George Floyd

4 Giu 2020 12:54 - di Tano Canino
Questione di logica

Questione di logica: il male è Trump, il bene chi lo contesta. Nella narrazione del caos organizzato che attraversa le metropoli americane c’è logica e c’è metodo. Logica è la protesta, metodico il racconto del saccheggio e della devastazione. L’omicidio giustifica la reazione, dicono. Ne consegue la logica responsabilità, magari indiretta, del presidente degli Stati Uniti in carica, in quanto “usurpatore” dell’autentico sogno americano. Racconti e resoconti tartufeschi, hanno quest’unico comune denominatore. Costante e concentrico. Niente dubbi. Anche se la realtà è del tutto diversa. Sempre a  lume di logica. L’omicidio di George Floyd, ad opera di quel poliziotto di Minneapolis non è il segno del razzismo di Trump, ma molto più chiaramente della incapacità amministrativa del sindaco (Mayor) di quella città. Altrimenti la decina di omicidi di uomini di colore perpetrati da poliziotti negli otto lunghi anni dell’amministrazione Obama sarebbe da ascrivere al primo afroamericano alla Casa Bianca. Danni ne ha fatti e di enormi Barack, insieme all’amica Hillary. Ma nessuno può imputargli né gli ha imputato anche quei fatti locali. Perché in America (e i giornalisti dovrebbero scriverlo, oltre che saperlo!) non è il Presidente ad avere la responsabilità delle forze di polizia, ma il sindaco di ogni città, piccola o grande che sia. È il sindaco che nomina, rimuovere e paga i poliziotti, non la Casa Bianca. E siccome i soprusi di quel poliziotto erano già stati segnalati per ben 19 volte dai cittadini senza che l’amministrazione ultra-liberal di Minneapolis muovesse un dito e men che meno l’allontanasse, è semmai di Jacob Frey, sindaco della città, la responsabilità morale e politica non di Donald Trump. Questione di logica, si direbbe.

Commenti

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  • ALESSANDRO LEPRI 4 Giugno 2020

    Dietro alle rivolte anti Trump c’e’ lo zampino della Cina per impedirgli di accusare la Cina di ledere la democrazia in Hong Kong quando sta facendo lo stesso lui in casa sua.