Silvia Romano, cosa ancora non torna. La mamma ai giornalisti: ridicoli. Non sono Sharon Stone (video)

18 Mag 2020 15:06 - di Martino Della Costa
La mamma di Silvia Romano, frame da video in tv su Mediaset

Silvia Romano, tante cose ancora non tornano. Tante… E polemiche, perquisizioni, recriminazioni e supposizioni mediatiche non contribuiscono a diradare i dubbi. I sospetti. E non aiutano a ricostruire un mosaico investigativo sul caso in cui mancano ancora tanti tasselli… Il silenzio stampa della cooperante ex ostaggio e della sua famiglia, poi, certo non aiuta. Sul tappeto restano alcuni interrogativi in attesa di risposte.

Silvia Romano, sequestro e riscatto: ecco cosa ancora non torna

Domande a cui si dovrà dare una spiegazione, anche sulla scia dell’appello, per esempio, di Monsignor Paglia, che in un’intervista tv di qualche giorno fa, nel compiacersi per la “liberazione” di Silvia e sulla sua “conversione”, esortava alla prudenza ed alla pazienza. «Aspettiamo – diceva – che abbia il tempo di riprendersi da questa lunga, terribile esperienza. Sì, aspettiamo, ma nel frattempo facciamoci qualche altra domanda. Ed esprimiamo alcune perplessità.

Sequestratori di serie A e di serie B? In Italia negli anni ’70-’80…

Ricordiamo tutti che negli anni ’70-’80, per contrastare la pratica ricorrente dei sequestri ad opera della “nostra” malavita organizzata, c’era stata un’attività legislativa volta al sequestro dei beni dei familiari dei rapiti. Motivazione (evidente): l’odioso reato non deve apparire facilmente lucrativo ai delinquenti, anche a rischio della vita del rapito. Oltretutto, mi pare ci sia un’inaccettabile disparità di atteggiamento fra rapitori italiani e rapitori stranieri. Sul filo di questo ragionamento, ne esce ancora una volta umiliato lo Stato italiano, che ha dimostrato una volta di più di volersi piegare al crimine, diversamente da quanto praticato in casi analoghi, ad esempio da USA e Francia (e, se non ricordo male, dal Giappone). Insomma, con gli italiani, il delitto paga.

Gli oscuri contorni della conversione

Eccellente poi il lavorio dei nostri servizi segreti (eroici, in alcuni casi, come quello di Calipari). Tuttavia ci chiediamo: ma non si potrebbe mettere a frutto quel patrimonio di conoscenze per la liberazione e non per il riscatto dei rapiti? Per inciso: dato l’esito, non so se sia esatto definire liberazione il rimpatrio di una persona fortunatamente illesa, “convertita” e desiderosa di tornare fra i suoi rapitori… Fra l’altro, lo stesso nome scelto per la sua nuova vita “religiosa”, Aisha, lascia intendere quali siano le sue intenzioni per il futuro. Aisha fu la terza moglie del Profeta Maometto, e alla sua morte combatté contro Alì, fondatore della Shi’a. Dunque, tutt’altro che una scelta di pace. Del resto, l’islam al quale si è convertita la Romano, è quello degli Shabab: tra i più feroci fondamentalisti. E lei ha ritenuto di presentarsi con la loro veste e i loro colori allo sbarco “trionfale”. Dunque, la “conversione” non può essere riduttivamente considerato “fatto privato”. A proposito: che fine hanno fatto le due Simone, esse pure lautamente riscattate e attratte dai loro rapitori?

La normativa da rivedere sui rischi dei cooperanti

Insomma, in particolare nel pieno di una crisi economica e di liquidità del paese e dello Stato, erogare una somma ingente (si va dai quattro ai sette milioni di euro), senza preoccuparsi della trasparenza delle motivazioni – e dell’uso che di quella somma faranno i destinatari – appare quantomeno inopportuno. Ci si aspetta comunque che in futuro vengano adottati i necessari provvedimenti legislativi, per disciplinare le attività più rischiose dei “cooperanti”. Si ha il diritto di rischiare la propria vita e, naturalmente, di cambiare credo religioso. Ma tutto questo non può essere fatto a discapito di tutti i cittadini.

Un muro di silenzio eretto intorno all’ex ostaggio

A questo si aggiunge il muro di silenzio eretto a Silvia Romano, giustamente protetta dalla famiglia. In un recente servizio mandato in onda a Live non è la D’urso, sua madre, Francesca Fumagalli, dopo aver dichiarato che chiunque, “in quelle condizioni, si sarebbe convertito”, sfuggendo a microfoni e telecamere della troupe degli inviati Mediaset, è sbottata dicendo: «Mi fate ridere. Non sono Sharon Stone, non merito tutta questa attenzione». Poi, alla domanda: «Come sta Silvia?» La signora risponde lapidaria: «Se non ci foste voi starebbe molto meglio»… Eppure, senza giornalisti che, cosa si saprebbe, oltre alle informazioni di facciata, della piccolissima, sconosciuta ong “Africa Milele”? E della sua presidente Lilian Sora, in particolare del suo rapporto di collaborazione con il bar pizzeria Karen Blixen a Malindi di un ex promoter finanziario, indagato dalla Procura di Latina, per truffa e frode ai danni dello Stato?

Il video della mamma intercettata dai giornalisti Mediaset

E ancora: chi indagherebbe, oltre agli inquirenti, per chiarire se è vero che Silvia Romano, definita universalmente “cooperante” o “volontaria”, in realtà sarebbe entrata in Kenya con un semplice visto turistico che non le consentiva altro che dedicarsi ad attività esclusivamente vacanziere? O sul fatto che, qualunque funzione lei avesse svolto in ambito umanitario, si sarebbe svolta in forma illegale? E soprattutto, altra domanda ancora senza risposta, questo rischio le era noto? Perché nel suo precedente viaggio in Kenya la giovane era già stata minacciata di arresto proprio per il suo status irregolare… Oltretutto, a questo proposito, ci chiediamo: quale era nei dettagli la missione umanitaria di Silvia? Perché finora l’unico incarico che pare confermato, era quello di “far giocare i bambini” nei pressi della sede keniana della ong in questione: un fatiscente fabbricato gestito in condivisione con altre utenze. Domande. Tante domande. Tutte ancora in attesa di risposte…

 

 

 

 

 

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