Falcone, il questore Cortese: così quel giorno presi Brusca, il killer con il telecomando

23 Mag 2020 18:56 - di Redazione

“Lo abbiamo trovato mentre guardava il film su Falcone. Incredibile. E’ stato un momento indimenticabile”: così il questore di Palermo, Renato Cortese ricorda l’arresto di Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci.

“Ricordo tutto di quel giorno. L’adrenalina, l’attesa. E, poi, finalmente, l’arresto di Giovanni Brusca” il mafioso che azionò il telecomando. E alle 17.58 del 23 maggio 1992 fece saltare in aria le Croma blindate del giudice Giovanni Falcone, con a bordo la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta. Tutti morti.

Cortese, nel maggio del 1996, era alla squadra Catturandi della Mobile di Palermo.

Coordinava gli uomini che stavano dando la caccia a Giovanni Brusca, giovane e sanguinario boss di San Giuseppe Jato.

“Io mi trovavo nella sala intercettazioni – ricorda Cortese, mentre attende l’inizio della messa a San Domenico, dove riposa il giudice – e da lì seguivo i miei uomini che stavano ad Agrigento”.

Sì, perché Giovanni Brusca è stato arrestato in una villetta vicino al mare dell’agrigentino. Dove si trovava, durante latitanza, con il fratello Enzo, ma anche il figlioletto Davide.

Gli investigatori, i ‘cacciatori’ di Brusca, erano riusciti ad ascoltare la sua voce, grazie alle intercettazioni telefoniche. Ma non sapevano dove si trovasse con esattezza.

Così, fu un colpo di genio a scovare il latitante. Come ricorda oggi Renato Cortese, lo stesso che dieci anni dopo avrebbe messo le manette ai polsi del capo dei capi, Bernardo Provenzano, in una stalla vicino Corleone.

Un ispettore ebbe l’idea di fare passare una moto smarmittata proprio mentre Brusca era al telefono.

E mentre alcuni poliziotti erano appostati a pochi metri e altri poliziotti ascoltavano a Palermo la sua voce, la moto con la marmitta rotta è passata nei pressi della villa facendo un rumore assordante.

“Era la prova che Giovanni Brusca fosse lì – ricorda oggi Cortese – Così abbiamo dato l’ok per l’intervento”.

Giovanni Brusca alla vista dei poliziotti gettò il cellulare dalla finestra con un gesto di stizza.

“Venne arrestato mentre stava vedendo un film su Giovanni Falcone”, ricorda il questore Cortese.

Era la sera del 20 maggio del 1996. Poche settimane dopo Brusca decise di fare il grande passo. E di collaborare con la giustizia.

Da allora ha raccontato molti retroscena di Cosa nostra. Ma cosa accadde la sera di quel 20 maggio 1996?

“Io mi trovavo nella cabina delle intercettazioni. E ho seguito tutto in diretta da Palermo – racconta ancora Cortese. -Non ero da solo. Mi piace ricordare che c’erano uomini e donne della Squadra Mobile, come nelle altre catture. Perché questo è un lavoro di sinergia, un lavoro di squadra”.

“Quella cattura la ricordo molto bene. Perché era una cattura che avvenne a distanza di pochi anni dalla strage di Capaci – dice ancora Renato Cortese. – E sapere che quel soggetto di grande capacità criminale che aveva schiacciato il telecomando, facendo saltare in aria i nostri poliziotti, era lì, a pochi metri da noi, era una spinta motivazionale in più”.

E ricorda anche che “quella sera davanti alla Squadra Mobile, all’arrivo di Brusca, c’erano tantissimi poliziotti. Però non c’erano i cittadini” a differenza di quanto sarebbe accaduto qualche anno dopo con la cattura di Provenzano.

“Era un periodo diverso – spiega Cortese. – Sì c’erano le lenzuola bianche appese ai balconi. Ma ancora non c’era una partecipazione attiva, mentre c’erano tanti poliziotti. Perché ancora bruciava il dolore per quello che avevamo subito. Otto colleghi uccisi, in due mesi, oltre a Giuliano, Cassarà, Montana e altri ancora”.

”E’ stato un percorso graduale di efficacia e di credibilità dello Stato. Arresto dopo arresto. Da Benedetto Spera a Gaspare Spatuzza. A arresti inanellati in pochi mesi l’uno dall’altro”.

Per il questore di Palermo “la parte repressiva è servita a recuperare fiducia nei confronti dello Stato. Che dimostrava in quegli anni di saperlo fare. E se sei guarda all’epilogo con l’arresto di Provenzano, vedere che centinaia di cittadini si sono riversati sotto la Squadra Mobile e, per la prima volta applaudivano gli ‘sbirri’ anziché prenderli a parolacce, quello è stato lo spartiacque”.

”Su quello che era Palermo e questa di oggi. Era una metodologia che va recuperata. Se lo Stato è credibile la gente vuole credere nello Stato”.

E sull’arresto di Bernardo Provenzano, avvenuto nell’aprile 2006, Cortese, che non era nella sala intercettazioni ma direttamente sul posto, ricorda tutto.

“Era come se avessi già vissuto quella scena. Noi sapevamo tutto di lui. Era come se lo conoscessi da sempre. Ho pensato che lui era latitante da prima della mia nascita, nel 1963 e io sono nato l’anno successivo. Una grande emozione”.

E poi tornando sull’arresto di Giovanni Brusca ricorda: “Mi fa piacere ricordare la fantasia e l’intuito investigativo. Che ci hanno permesso di arrestarlo – dice. – Al di là dell’aspetto umano, di avere messo le mani su un ‘pezzo grosso’ della mafia. Che aveva causato la strage”.

”Ricordo perfettamente, come se fosse ieri, quella moto smarmittata nella cuffia delle intercettazioni. La conferma che Brusca fosse proprio lì, a pochi metri da noi”. E “ho dato l’ok”, ricorda con emozione.

“Lo abbiamo trovato mentre guardava il film su Falcone – dice – incredibile. E’ stato un momento indimenticabile”. Falcone era vendicato.

Commenti

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  • sergio la terza 24 Maggio 2020

    Ed ora Bonafede li ha fatti uscire.al 41 bis anche lui