Apr 04 2020

Antonio Pannullo @ 18:46

Neanche gli avvocati trattati equamente dalle misure del governo Conte

La morte degli avvocati? È un’iperbole, un titolo ad effetto, una provocazione, ma a breve potrebbe essere una realtà. Magari in senso figurato, o forse per davvero, perché prima o poi deve accadere. Non così, però, per inedia, per indigenza o per anossia. Quella burocratica, che toglie anche il respiro. La pausa forzata delle recenti settimane e il pensiero di quelle (ancor più lunghe), che ci separano dall’orizzonte, che forse relegherà nella memoria dei brutti ricordi il malefico Covid, induce a riflettere.
Riflessioni sulle scelte personali, soprattutto, ma anche su quelle collettive. Ci si interroga sulla scelta (per taluni sconsiderata) di rendere accessibile la facoltà di Medicina solo a un numero chiuso di studenti. Ciò, perché mancano i medici, quelli che oggi, come non mai, servono. Non ci si pone la stessa domanda, per gli avvocati, ad esempio, che sono diventati tali (e tanti) dopo un percorso universitario (senza un filtro all’ingresso), una pratica professionale ed un esame di Stato, un tempo severo.

Il numero chiuso potrebbe servire per gli avvocati…

La democrazia, l’ascensore sociale o la possibilità di esercitare una professione, non si limita col criterio selettivo del numero chiuso, che per altri, invece, potrebbe essere uno strumento per orientare le scelte, ottimizzando le potenzialità individuali. Se opportunamente e sapientemente organizzato, il numero chiuso, potrebbe ridurre quelle paradossali sperequazioni, alle quali oggi assistiamo. Non è per nulla strumentale il confronto dei dati numerici, né si devono necessariamente mettere in contrasto le due professionalità; è una semplice osservazione.
Un avvocato, seppur abbia avuto l’agio di accedere alla facoltà di Giurisprudenza, senza dover sostenere una prova d’ingresso, generalmente ha affrontato molti ostacoli lungo il suo percorso, neppure breve. E quando pensava di aver trovato un equilibrio, seppur precario, nell’incessante studio delle leggi, spesso aggiornate senza criterio, scopre, invece, di non aver alcun appiglio a cui sostenersi.

Ma il legislatore quasi ignora gli avvocati

Il legislatore – quello che spesso prolunga furiosamente leggi tanto convulse quanto incomprensibili – quasi lo ignora. Si è ricordato della sua esistenza, dopo aver ascoltato la sua sommessa richiesta, sussurrata, con deferenza. E gli ha riconosciuto, grazie al ministro del Lavoro, un sussidio: seicento euro. Ma non a tutti, perché se nel 2018, il fatturato (malauguratamente) avesse superato la soglia di cinquantamila euro, il nulla. Nessuna misura di sostegno per i canoni di locazione degli studi professionali (come per tante altre realtà, ignorate dalle misure d’emergenza). Limiti anche all’accesso per la moratoria dei mutui, per l’acquisto della prima casa.

Non resta che rimanere in attesa del prossimo Dpcm..

Un disastro, che anticipa di qualche anno, probabilmente, la fine di una professione già volta al declino. La possibilità di partecipare in videoconferenza alle udienze, quale tiepido risveglio di una Giustizia di per sé assopita, non soddisfa affatto, anzi svilisce, la capacità espressiva. E neppure redime chi a suo tempo, per una sventurata scelta di contenimento delle spese, ha ridimensionato la geografia giudiziaria. E, così, compassati, avvocati e non solo, rimangono in attesa del prossimo Dpcm, che preveda ulteriori (seppur insufficienti) misure di sostegno alla popolazione, improduttiva. Auspicando di poter uscire, con mascherine italiane, per riprendere a lavorare, il prima possibile.