Ramelli ricordato sul Corriere da Walter Veltroni. L’odio è anche antifascista, ma nel pezzo non c’è scritto…

16 Feb 2020 10:48 - di Annalisa Terranova
Ramelli

Sergio Ramelli, “il ragazzo con il Ciao e i capelli lunghi”. Così lo definisce Walter Veltroni sul Corriere, in una pagina dedicata al quel morto missino il cui ricordo è ancora oggi vietato a Milano. Aggredito  la mattina del 13 marzo del 1975 a colpi di chiave inglese, morì il 29 di aprile dopo una straziante agonia.

Veltroni, a sinistra, è tra coloro che più hanno avuto parole di rispetto per i morti della destra. Fu lui a far incontrare Giampaolo Mattei con la madre di Valerio Verbano. In quanto reduce dai burrascosi anni Settanta, Veltroni ritenne all’epoca che la pietas promossa dalla politica potesse mettere una rassicurante parola fine alle pagine buie dei lutti, senza più la crosta ideologica.

Il neoantifascismo di ritorno

Sbagliava. Perché oggi il neoantifascismo di ritorno è più radicale e incosciente di quello dell’epoca e torna a considerare l’avversario un nemico da cancellare. Per il neoantifascismo di ritorno Ramelli in fondo se l’è cercata e quelli che lo ricordano ogni anno sono pericolosi fascisti che andrebbero banditi da Milano. Un grumo di giustificazionismo idiota riunisce oggi in un unico filo slabbrato le foibe  e i morti missini degli anni Settanta. E’ un odio che torna ad essere viscerale e pericolosamente ideologico, sorprendentemente fanatico e accresciuto dal lievito dell’ignoranza.

Non stupisce che a ricordare Ramelli sia uno come Veltroni. Vecchia scuola politica. Disincanto rispetto agli anni di piombo. Consapevolezza che le contrapposizioni frontali spesso vanno a finire male. Non stupisce perché un tempo Berlinguer e Almirante potevano parlare e rispettarsi. Vecchia scuola anche quella. Oggi c’è la scuola delle sardine, il finto buonismo da centri sociali, per le quali i leader di destra non hanno diritto ad avere spazi pubblici in cui parlare. Proprio come Ramelli non aveva diritto a frequentare il suo istituto “rosso”.

Il tema di Ramelli, il tema di un fascista…

Scrive Veltroni: “Questo ragazzo, in niente dissimile fisicamente dai suoi coetanei di sinistra, ha idee di destra. Pier Paolo Pasolini, a smentire una diversità quasi antropologica, aveva scritto in una lettera a Italo Calvino: «Quando parlo di omologazione di tutti i giovani, per cui, dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l’edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani, enuncio un fenomeno generale».

“Sergio- continua Veltroni –  non si distingue «da tutti gli altri giovani» ma ha idee di destra e non le nasconde. Non è, racconta chi lo ha conosciuto, un fanatico. Da poco ha aderito al Fronte della Gioventù. Ma è capitato in una scuola dove le sue idee non sono tollerate. Tutto comincia con un compito in classe. Il professore chiede ai ragazzi di descrivere un episodio che li abbia impressionati. E Sergio scrive un tema sul primo assassinio delle Brigate Rosse, quello compiuto a Padova nel 1974, in cui dei terroristi erano entrati in una sede del Msi e avevano ucciso a freddo Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Quel tema fu l’inizio della sua fine. I suoi compagni ne vennero a conoscenza e i membri del collettivo politico di Avanguardia Operaia affissero i fogli di carta protocollo al muro sottolineandone le frasi e commentandolo con la scritta: «Ecco il tema di un fascista»”.

I magistrati: la borghesia milanese ci ostacolò

Illuminanti le dichiarazioni del magistrato Guido Salvini che, assieme al collega Maurizio Grigo, condusse le indagini.Dichiarazioni riportate nel pezzo di Veltroni:  «Non era terrorismo, era violenza politica. Scoprimmo gli autori dieci anni dopo. Durante l’indagine avvertimmo un senso di isolamento, come se certi ambienti della borghesia milanese non vedessero di buon occhio il fatto che si riaprisse quel capitolo. Fummo come accusati di processare il Sessantotto. I ragazzi, diventati grandi, erano professionisti, qualcuno aveva figli. Crollarono subito e confessarono. Ci colpì che non fosse un gruppo terroristico, ma un servizio d’ordine della facoltà di medicina, i cui membri non potevano non sapere cosa significhi colpire alla testa un ragazzo con una chiave inglese da due chili. Loro non lo conoscevano, Ramelli. Agirono sulla base di una foto che gli fu fornita dal comitato interno al Molinari. Non credo volessero uccidere, ma quello è stato l’esito. Poi alcuni proseguirono con altre aggressioni e con le schedature degli avversari politici. Cosa che veniva considerata quasi normale, da una parte e dall’altra, in quei tempi. Mi colpì che negli anni successivi, nei cortei, si rivendicasse con gli slogan quella morte. La morte di un ragazzo che affiggeva i manifesti del Fronte della Gioventù, ma non aveva mai fatto male a nessuno».

“La violenza nei confronti di Sergio – conclude Veltroni – è proseguita incredibilmente anche dopo la sua morte. Hanno continuato a fare scritte di minaccia al fratello, a devastare la vita di quella famiglia con quotidiane telefonate anonime, a minacciare il padre. Una vera persecuzione. Bisognava essere dei fanatici, o delle belve, per non avere neanche rispetto del dolore che straziava la famiglia Ramelli. Quel dolore che oggi indossa, con composta discrezione, la sorella, che allora aveva otto anni”.  Le belve possono tornare, animate dal fanatismo. E i fanatici non sono solo quelli che disegnano svastiche nelle scuole. Sono anche quelli che al canto di Bella ciao ti impediscono di parlare. L’omaggio a Ramelli comprende anche questo non detto. Veltroni infatti non lo scrive. Ma se ha potuto scrivere quello che ha scritto su Ramelli, sicuramente in cuor suo lo pensa.

 

Commenti

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  • Mauro collavini 17 Febbraio 2020

    Bè Veltroni è un signore come lo dovrebbero essere tutti i politici. Non si fa politica con la violenza bensì con il confronto dialettico. Per fortuna oggigiorno coloro che si. Proclamano fascisti sono molto. Più democratici dei democratici sopratutto di sinistra che anziché confrontandosi dialettica ente non avendo alcunché da trasmettere utilizzano la forza e la violenza.

  • Luigi Graziani 16 Febbraio 2020

    caro Francesco, quello di walterino mi sembra, anzi è, un pentimento postumo, vigliacco e quindi interessato. ricordo benissimo la vicenda del povero Sergio. all’epoca ero al liceo anch’io ed anch’io ero bersagliato non tanto dagli altri studenti, tutti abbastanza ignorantelli e di provincia, bensì dai professori, in particolare dalla professoressa di italiano (ottusa beghina democristiana) e dal professore di filosofia (domenicano). ricordo quegli anni con profondo disagio. noi non potevamo espriemere le nostre idee, sempre rivoluzionarie ed attuali, gli altri potevano dire tutte le stupidagini che volevano. c’era in noi, ragazzi di destra, un senso sia di impotenza, ma al contempo anche di fierezza. fierezza di professare qualcosa di vero, qualcosa di sano. già allora ero convinto che tutto fu architettato in maniera scientifica da chi deteneva il potere, dc e pci. ricordi l’arco costituzionale che metteva all’angolo il MSI? ricordi gli opposti estremismi? certo che lo ricordi anche perchè tu più di me lo hai vissuto più direttamente essendo vissuto a Roma, mentre io stavo in un paesotto della provincia, Spoleto. Tu perchè sei assurto agli allori della politica mentre io ho esercitato la mia professione di medico. eppure era presente in me la convinzione che ci volevano isolare, che ci volevano tarpare le ali, proprio quando le nostre idee stavano tornando prepotentemente alla ribalta con l’avanzata poderosa del MSI almirantiano… poi ci fu l’operazione di andreotti che spaccò il partito, ci furono i morti, ci forono le indagini tutte contro i “neofascisti”, addirittura costruirono una campagna mediatica per dimostrare che vi erano delle faide omicide all’interno dei ragazzi di destra. a distanza di decenni però la verità è giunta. ora siamo più o meno al medesimo punto. certo molto più edulcorato, ma i sinistri stanno inscenando questa stupida e spocchiosa campagna antifascista, anzi come dici Tu, neoantifascista. siamo, dicevo, al medesimo punto. vogliono come allora criminalizzare le nostre idee perchè hanno il terrore di dover lasciare il lauto pasto che stanno facendo ormai da troppo tempo. spero vivamente che prima o poi questi… innominabili vadano definitivamente a casa. noi ed i nostri giovani siamo sempre gli stessi! questo lo sanno e ne hanno terribilmente paura, ma ora non cadremo nel tranello di allora. ora vinceremo e non ci saranno prigionieri… ciao Francesco