Strage di Bologna, l’ultima conferma: la maschera facciale non è di Maria Fresu. Verità appesa alle perizie

22 Ott 2019 11:04 - di Redazione
Strage di Bologna

Strage di Bologna: altro che caso chiuso. La verità resta appesa alle perizie. E un nuovo approfondimento d’indagine rimescola le carte sul tavolo dell’inchiesta. È stata depositata dal perito esplosivista Danilo Coppe la perizia integrativa. Un ulteriore verifica dei periti che risponde ai quesiti posti dalla Corte d’Assise di Bologna. Corte che sta processando l’ex esponente dei Nar, Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione.

Strage di Bologna: la nuova perizia integrativa

Il documento peritale elaborato da Coppe e dal colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, Comandante della Sezione di Chimica, Esplosivi ed Infiammabili dei Ris, integra anche la perizia sul Dna. Perizia predisposta dalla dottoressa Elena Pilli, capitano dei carabinieri e biologa genetico-forense dell’Università di Firenze, dei resti inizialmente attribuiti alla vittima della strage Maria Fresu. La quale risulta scomparsa misteriosamente nell’attentato e sulla cui disintegrazione lo stesso Coppe ha già espresso forti dubbi ritenendola non possibile.

I due Dna sui resti nel feretro della Fresu

La nuova perizia conferma quanto anticipato il 14 ottobre scorso dall’Adnkronos sui risultati dell’esame del Dna della maschera facciale con uno scalpo trovata il 25 ottobre scorso durante la riesumazione nel cimitero di Montespertoli di quello che si ritenevano essere i resti della Fresu. Quel materiale organico non appartiene alla giovane mamma sarda. La cui figlia Angela, di tre anni, morì anch’essa nell’esplosione, schiacciata dalle macerie assieme ad un’amica della donna, Verdiana Bivona. Mentre un’altra ragazza del gruppo diretto a Rovereto per le vacanze estive, Silvana Ancillotti, sopravvisse. È confermato anche che i resti trovati nella bara della Fresu nel corso dell’esumazione disposta dalla Corte d’Assise di Bologna appartengono a due Dna femminili differenti. Due diversi Dna, ma non riferibili, appunto, alla mamma sarda.

L’ipotesi della perizia e la necessità di altri esami

La perizia ipotizza anche come escludere definitivamente che quei resti – tanto la maschera facciale con lo scalpo, quanto la mano destra con le dita – appartengano a una 86esima vittima. Vi potrebbero essere infatti, in linea teorica, 5-6 vittime femminili a cui potrebbe appartenere il lembo di volto. Così come ad una di altre due donne rimaste vittime dell’esplosione potrebbe essere ricondotta la mano. Questo anche se la perizia Pappalardo, che identificò tutte le vittime, esclude categoricamente questa circostanza. Da questo punto di vista potrebbero risultare necessari altri esami per indagare, eventualmente, sulla compatibilità dei resti umani. Esami che, una volta conclusi, potrebbero sciogliere i dubbi residui sull’esistenza di una 86esima vittima. Vedremo se la Corte riterrà di disporli

Gli esiti degli esami metallografici

Nelle loro risposte ai quesiti posti dalla Corte, i periti inoltre rivelano che su quello che si è ritenuto essere un interruttore di sicurezza per il trasporto dell’ordigno è stata trovata una ridotta quantità di esplosivo. E che gli esami metallografici condotti dal professor Marco Boniardi, ordinario di metallurgia ed esperto in Failure Analysis & Forensic Engineering del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, hanno rilevato che la piegatura rinvenuta sulla staffa metallica non è frutto di uno shock termico, quanto il risultato di una pressione meccanica. Ciò, tuttavia, non esclude completamente che possa essersi trattato di un interruttore di sicurezza. I periti escludono invece, come ipotizzato dai consulenti del pm nelle scorse udienze, che la staffa metallica di alluminio avrebbe dovuto fondersi per il calore.

 

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