Sorpresa: Bella Ciao non è né un canto partigiano né un inno comunista

23 Apr 2019 11:51 - di Adele Sirocchi

Con il 25 aprile in arrivo, siamo destinati ad ascoltare nuovamente le note e le parole di Bella Ciao, spacciata erroneamente come la canzone della Resistenza: un mito sulla cui costruzione retorica vale la pena di soffermarsi. Inno global è ormai Bella Ciao, da noi colonna sonora di ogni corteo di sinistra, di ogni contestazione contro i fantasmi del fascismo. La si cantò in chiesa per don Gallo, la intonò Santoro in tv contro Berlusconi, l’hanno insegnata ai migranti contro Salvini. Val la pena allora di andare a vedere da dove nasce questo “mito” resistenziale canoro.

Ma davvero i partigiani cantavano quella canzone? Mica tanto vero, visto che era una canzone delle mondine, le cui parole vennero adattate a una melodia yddish registrata agli inizi del ‘900 a New York  da un musicista ucraino. Fa testo di ciò il video in cui Laura Boldrini riceve a Montecitorio un gruppo di ex partigiani e canta con loro Bella Ciao. Mentre uno di loro canta un altro contesta la canzone e afferma che i partigiani cantavano Fischia il vento.

Ma le vie della musica sono strane e contorte: ed ecco che quella canzone diviene prima canto delle mondine e poi viene rielaborata dai partigiani ma in zone circoscritte: Alto Bolognese, Montefiorino, Reggiano, Reatino. Insomma erano troppo pochi a cantarla per poterla considerare davvero la canzone-simbolo della Resistenza.

Nella versione del canto delle mondine la fa conoscere Giovanna Daffini all’inizio degli anni Sessanta: “Questa mattina mi sono alzata/ o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao/ sta mattina, appena alzata/ in risaia mi tocca andar/ e tra gli insetti e le zanzare/ un dur lavor mi tocca far…”.

Nel canzoniere resistenziale spiccavano altri inni. Uno era sicuramente “Bandiera rossa“, un altro “Fischia il vento“, inno ufficiale delle Brigate Garibaldi, un altro era La Badoglieide, composta nella primavera del 1944 da un gruppo di partigiani piemontesi di Giustizia e Libertà.

A decretare la fortuna di Bella Ciao, come scrive lo storico Stefano Pivato, “è il clima politico d’inizio anni Sessanta. Nel periodo che precede e accompagna la costituzione dei primi governi di centro-sinistra e si afferma l’idea della Repubblica nata dalla Resistenza, una canzone come Fischia il vento, contenente espliciti richiami all’ideologia comunista  e oltre tutto costruita sulla melodia di un canto russo, male si presta a interpretare il clima di concordia e di unità di intenti che si intende allora stabilire intorno alla memoria della Resistenza”. (S.Pivato, Bella Ciao. Canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, 2005).

Insomma spiace davvero per i  cultori di Bella Ciao, ma trattavasi di una canzonetta delle mondine assurta a inno della Resistenza sull’onda del compromesso storico e sulla scia di un annacquamento delle spinte comuniste insite nel filone maggioritario della lotta partigiana. Trattandosi di canzonetta orecchiabile non mancarono da subito, sempre negli anni Sessanta, le parodie irriverenti, tra le quali questa che riportiamo di seguito e che è sempre citata da Pivato: “Alla mattina quando mi alzo/ io meno il ca meno il ca meno il ca parapappapà/Alla mattina quando mi alzo/io meno il cane a passeggiar…”. Una nota di colore con la quale concludiamo questo excursus sulla vera origine di Bella Ciao.

 

Commenti

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  • valter zampese 26 Aprile 2020

    Rimane il fatto che è diventata propaganda comununista per cui mi fa vagare!

  • carlo pezzoli 20 Gennaio 2020

    Negli anni sessanta, eravamo cinquemila italiani a Mosca per la partita della nostra nazionale. Ospiti nella Sala Rossa per assistere ad uno spettacolo di varietà, tra i vari numeri ci fu quello di un tenore che ci cantò “la canzone italiana del Partigiano”. Quando ebbe finito, ci guardammo tutti in faccia con aria interrogativa: nessuno dei presenti l’aveva mai udita.