Manuel Bortuzzo: «Se incontrassi chi mi ha sparato, gli riderei in faccia»

13 Mar 2019 16:06 - di Alessandra Danieli

Volontà di ferro, ha iniziato la riabilitazione in acqua e tra dieci anni si vede in piedi. Tuta della nazionale, Manuel Bortuzzo, la 19enne promessa del nuoto rimasto paralizzato agli arti inferiori da un proiettile la notte tra il 2 e il 3 febbraio, per la sua prima uscita sceglie il polo natatorio di Ostia e il centro federale della Fin dove è iniziato il sogno del nuoto. Tra quelle mura ore e ore di allenamenti durissimi a “macinare” vasche per l’atleta di Treviso delle Fiamme Gialle che non abbandona il sogno delle Olimpiadi.

«Incontrare chi mi ha sparato? Non cambierebbe nulla», dice  a proposito dei suoi sicari che hanno confessato di avergli sparato per un errore di persona. Non pensa a loro, ma a quelli che sono rimasti fuori. «Ma se me li trovassi davanti mi metterei a ridere perché non ha senso quello che hanno fatto. Non si tratta di perdonarli o meno», dice Manuel ai giornalisti. “Forza Manuel” è stato il coro riservato al campione, costretto sulla sedia a rotelle, dai dipendenti dell’impianto alle porte di Roma che non vedevano l’ora di riabbracciarlo. «Grazie a tutti», ha detto commosso Manuel, deciso a rimanere nella Capitale. «Roma mi ha tolto tanto, ma penso che mi darà anche tanto. Sto bene qua, ho gli amici e la morosa, non ho mai pensato di andarmene. Anzi, vorrei comprare casa e restare a vivere qui». Passa ore e ore in palestra e la sua amata piscina. «Il pranzo è sempre freddo perché mi alleno. I momenti di sconforto? Apro i social e mi ricarico». Diventato simbolo di coraggio in tutta Italia, Manuel trae la sua forza soprattutto dalla sua famiglia e dal suo straordinario papa, Franco, «è una colonna ci carichiamo a vicenda».

L’obiettivo di Manuel resta quello di partecipare ai Giochi olimpici: «Non è cambiato: se tutto andrò bene ci andrò. Certo, nella mia testa c’è sempre speranza. Non ho pensato alle Paralimpiadi, voglio prima vedere dove posso arrivare». Più che raccontare quello che è successo quella maledetta sera del 2 febbraio l’atleta preferisce parlare di come ha reagito, della sua volontà di rialzarsi, della sua voglia di vivere. «Questa è una bella storia da raccontare. Se sono credente? Io ho un motto: la fede completa la scienza e, dove non arriva, la scienza completa la fede». Non prova rabbia e non ha perso il sorriso: «C’era prima e c’è adesso, non sono cambiato. Manuel che piange è molto raro, ma ci sono stati momenti, soprattutto a inizio terapia, in cui non riuscivo nemmeno a girarmi sul lettino. Lì sono stato colpito da un po’ di sconforto ma ora ci rido su, perché riesco a girarmi benissimo. Sono fortunato che mi sono ripreso al 110 per cento. Ok, non ho più l’uso delle gambe, ma sopra sono perfetto. Forse il terrore più grande era quello di non tornare più me stesso».

 

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