L’ex-magistrato Saguto alla sbarra: «Ecco chi sono i colleghi che mi chiesero favori»

20 Feb 2019 16:55 - di Paolo Lami
Silvana Saguto, delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo

Una deposizione fiume, tirando in ballo decine di altri colleghi magistrati, per ribadire con forza che lei, Silvana Sagutoex-presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, ora a processo a Caltanissetta con l’accusa di associazione a delinquere, corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione a dare o promettere utilità, abuso d’ufficio, non c’entra nulla con quelle accuse che le sono piovute addosso da più parti, soprattutto da chi la conosceva molto bene, come il suo caposcorta per 15 anni.

L’esordio della Saguto alla sbarra, davanti ai pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti che l’accusano di aver guidato una sorta di “cerchio magico” per l’amministrazione dei beni giudiziari, è un capolavoro mediatico: «La mia carriera in magistratura – lascia cadere la magistrata considerata una specie di zarina dei beni sequestrati – nasce nel 1981 e ho avuto tra i miei maestri magistrati come Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Rocco Chinnici. In quegli anni eravamo in piena guerra di mafia».

Guidata dalle domande del suo avvocato Ninni Reina, lei, che certo non ha bisogno di suggeritori per muoversi agevolmente in un’aula di un Tribunale, sia pure, stavolta, dalla parte dell’imputato, ripercorre la sua lunga carriera giudiziaria finita improvvisamente contro un muro quando quelle voci che circolavano da tempo nei Tribunali si sono fatte via via più insistenti e consistenti diventando un’accusa processuale.

«Come prima funzione sono andata a Trapani – ricorda la Saguto rispondendo alle domande del suo difensore – Per una sorta di destino, ho fatto misure di prevenzione dal primo minuto in cui sono entrata in magistratura. Si capì subito che il modo di attaccare la mafia era quello di attaccare i patrimoni. Non vorrei per nulla sminuire la lotta alla mafia, ma posso dire, in base alla mia esperienza, che i mafiosi odiano perdere i loro patrimoni».

La Saguto si ritiene una specie di Nobel dell’amministrazione dei beni giudiziari, una donna nata per fare proprio questo lavoro e farlo al meglio e cita, ad esempio e a sostegno della sua tesi, le molte volte che la ex-presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi ha elogiato il suo lavoro. Ma all’epoca molte cose dovevano ancora venire fuori. Per non dire del cortocircuito che, a un certo punto, si è creato nel circo Barnum dell’Antimafia da salotto.

Non si può dire che la Saguto non si sia preparata a fondo, in maniera pignola e quasi maniacale, per replicare alle accuse dei pm che la stanno processando. Snocciola cifre e dati – «da quando sono tornata alla Sezione Misure di prevenzione al Tribunale di Palermo c’è stato un aumento del 400 per cento delle misure. Non lo dico io, ma è un dato del Ministero che ci ha chiesto il valore dei beni sequestrati e confiscati che amministravamo. Noi amministravamo il 45 per cento delle misure di prevenzione di tutta Italia» – e ricorda alla Corte come Cosa Nostra avesse progettato di ucciderla: «Ricordo che una volta fui raggiunta a Piano Battaglia, dove ero in vacanza con la mia famiglia, e portata via perché c’era una intercettazione di un latitante che diceva che dovevo saltare in aria».

Ma i suoi ex-colleghi magistrati che ora la stanno processando a Caltanissetta non le imputano né di aver lavorato poco né di aver aiutato la mafia quanto, piuttosto, di aver agevolato un gruppo di persone, fra cui il marito, a un certo punto divenuto collaboratore dell’avvocato Seminara, per gestire, con guadagni stratosferici il business delle misure di prevenzione con incarichi che andavano, guarda caso, sempre agli stessi soggetti.

In piazza sono così finiti gli stipendi dei due coniugi – lei 5.500 euro al mese come magistrato, 1.500 ero lui come insegnante al Cnos – ma, soprattutto, le esosissime parcelle che la corte di incaricati, scelti dalla Saguto, staccava. Ed è finita la vita da nababbi che la famiglia della Saguto, figli compresi, faceva, secondo quanto ha raccontato il suo ex-caposcorta ai magistrati.

Ha buon gioco, ora, al processo, Silvana Saguto a squadernare, con uno studiato Coup de théâtre, sul tavolo della Corte di Caltanissetta, la sua vecchia agendina con i nomi di quelli che hanno fatto pressioni su di lei per ottenere incarichi nella gestione delle misure di prevenzione: «L’altra sera ho ritrovato per caso l’agenda in cui mettevo i biglietti che ricevevo ogni giorno – rivela accendendo l’attenzione della Corte – Mi venivano segnalati gli amministratori giudiziari da nominare. Anche da parte di colleghi magistrati. La consegnerò al Tribunale questa agenda».
E inizia a fare un elenco di persone: «Intanto, le segnalazioni arrivavano dai miei colleghi: La Cascia, Guarnotta, D’Agati, Tona. Ma c’erano anche avvocati che mi facevano segnalazioni. Persone di fiducia. Con i beni sequestrati lavoravano anche i figli di miei colleghi, ad esempio dei giudici Ingargiola e Puglisi. Ma non solo. Il fratello di Vittorio Teresi lavorava con l’amministratore giudiziario Collovà. Ma non è un pregiudizio, accadeva così», cerca di sostenere l’ex-presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.

E, a rincarare la dose: «In questa agenda ci sono tutti. Tutti mi facevamo segnalazioni. Io chiedevo solo che fossero persone qualificate, soprattutto persone che provenivano dal Dems, il corso voluto dai professori universitari Fiandaca e Visconti – dice elencando i nomi – Marco Nicola Luca, Stefano Mandalà, non so chi siano, provenivano dal Dems». Un siluro che avrà, di certo, conseguenze processuali.

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