Autonomia al Nord, reddito al Sud: è questa la vera posta del patto gialloverde
Il primo paradosso è che la secessione del Nord sta arrivando nel momento in cui la Lega si è fatta “nazionale”; il secondo è che ad averla favorita è stato quel governo a guida Pd che, Gentiloni consule, quattro giorno prima delle elezioni politiche dello scorso anno, sottoscrisse nottetempo pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna; il terzo, infine, è che il definitivo affossamento del nostro Mezzogiorno si sta verificando sotto l’occhio indifferente di quei Cinquestelle che proprio al Sud hanno mietuto percentuali e consensi che un tempo non avremmo esitato a definire bulgari. Di Maio e compagni, in verità, non sono gli unici distratti in questa fase dominata dai migranti della Sea Watch, dalle felpe di Salvini, dalle gaffe di Toninelli e dagli sfoghi di Di Battista. Fossimo complottisti, penseremmo che tanto frastuono sia orchestrato al solo scopo di tenere coperta la vera posta del contratto di governo giallo-verde: l’autonomia rafforzata del Nord, cioè la “secessione dei ricchi“, in cambio dell’obolo ai poveri, cioè il reddito di cittadinanza. Un pactum sceleris che allungherà ancor di più l’Italia sottraendo soldi e diritti a chi meno ha per girarli a chi ne ha di più, e che troverà sbocco il prossimo 15 febbraio con la firma del testo delle Intese da parte del governo centrale e le regioni di cui sopra. Un testo, si badi, ignorato da Parlamento e cittadini e che una volta sottoscritto potrà essere solo approvato o respinto, ma non emendato dalle Camere. Modificarlo si può, ma solo con il placet delle regioni interessate. Senza di quello, non varrebbe neanche un referendum. Colpisce che leghisti e grillini si stiano accapigliando su tutto – dalla Tav al Venezuela, dall’incriminazione di Salvini all’accoglienza dei migranti – restando però curiosamente silenti (potrebbero almeno impegnarsi a rendere noto il testo dell’Intesa) su una questione decisiva per l’esistenza stessa della nostra comunità nazionale. Già, perché ad un anno esatto dalla firma cambieranno radicalmente i criteri di assegnazione delle risorse alle regioni e, con essi, la qualità dei servizi e il godimento di diritti fondamentali come salute, istruzione, mobilità. Insomma avremo da una parte cittadini sempre più integrati con il resto d’Europa e dall’altra masse di sudditi lasciati alla mercé della sempiterna arte di arrangiarsi. A quel punto, il “prima gli italiani“, oggi tanto urlato, cesserà di indicare un progetto di riscatto nazionale per risuonare nei nostri orecchi solo come l’ennesimo, furfantesco, slogan-falsità.
Questa è la fine dell’Italia: stretta fra i traditori di sinistra che si sono venduti al capitale europeo, un Berlusconu che si è fatto incastrare e ormai ha le mani legate dal pericolo di altri processi, i 5 stelle, accozzaglia di gente con idee vaghe estrampalate, nata per portare avanti i progetti della sinistra che perde terreno e la Lega che sembra non aver rivisto le sue posizioni autonomiste. Manca solo la ventilata patrimoniale per avere i gilè gialli anche da noi. Questo anno potrebbe concludere la distruzione dell’Italia iniziata nel 2011 con il governo Monti. Aspettiamoci anche qualche attentato sedicente Isis, tanto gli arabi sono alleati dei nostri migliori alleati, e se cambiamo strada ci rimettono in riga in quel modo, come in passato.
E speriamo di no, che cavolo …