Cappuccetto rosso è un migrante: follia in un teatro di Milano

18 Lug 2018 13:10 - di Guglielmo Federici

La chiamavvano contaminazione. Diciamo pure che si tratta di uno sconvolgimento bello e buono quello operato in un teatro di Milano che ha mandato in scena una favola che dell’originale dei Fratelli Grimm non ha più nulla. Cappuccetto Rosso sarebbe diventata un migrante africano, a spasso, anziché nelle foreste della Germania, nelle lande assolate della Savana. La notizia è riportata e commentata da Gianluca Veneziani su Libero. E’ accaduto che la compagnia del Teatro delle Albe, e gli attori legati all’ associazione di Mandiaye N’ Diaye, il regista senegalese scomparso quattro anni fa,  hanno portato in scena all’ ex ospedale Pini di Milano, una versione non più riconoscibile della celebre fiaba, intitolata «Thioro, un cappuccetto rosso senegalese», riadattata e stravolta per simboleggiare il dramma dei migranti. E’ una follia. Le fiabe sono una cosa seria, sono frutto di una tradizione, di un vissuto, il loro messaggio è universale ma le forme non possono essere stravolte e allineate al messaggio più in voga del momento. «Piegare un classico all’ ideologia e all’ attualità, è qualcosa che fa male alla piccola Cappuccetto Rosso, molto più di quanto non gliene abbia fatto il lupo», è il commento sarcastico.

La follia – consentita nel disinteresse generale – ha stravolto tutto:  la bimba protagonista, nota nel mondo con il nome di Cappuccetto rosso, ha cambiato nome, ha cambiato sesso,  nazionalità, età. E’ stata interpretata da due attori adulti, cioè Adama Gueye e Fallou Diop. Il bosco in cui è ambientata la favola ha lasciato il posto alla savana; «e se al posto del lupo figura una iena tipica del Continente Nero, anche il linguaggio della protagonista è ben lontano da quello originario dei fratelli Grimm. Qui Cappuccetto Rosso, o meglio i Cappuccetti Rossi in scena, parlano in wolof, lingua del Senegal…», scrive Veneziani. E che dire del titolo? “Cappuccetto Rosso” è diventa “Cappuccetto Nero” e il senso della fiaba piegato a  inno alle migrazioni: i protagonisti attraversano la savana per raggiungere la loro realizzazione, simboleggiata dalla casa della nonna. Un invito all’ integrazione del diverso attraverso un’ opera, come spiega il regista Alessandro Argnani, «capace di raccontare e contrastare l’ ignoranza che ci porta ad avere paura dell’ altro».

Più che l’ignoranza fa paura l’operato di gente come lui, i buonisti proni al politicamente corretto, secondo i quali non bastano le contaminazione e lo scambio culturale, ora è lecito stravolgere tutto ciò che ci riguarda nell’intimo: dalle favole, ai miti e ai riti, costumi e cultura. Tutto è negoziabile, flessibile pur di non offendere nessuno.Una follia.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • Flavio Panteghini 31 Luglio 2018

    Delle due l’una: o non avete nemmeno visto lo spettacolo, o non c’avete capito nulla. In entrambi i casi questo articolo non dovrebbe esistere. Siete cattivi e in malafede, oltre che ignoranti e incapaci di comprendere un testo teatrale. Vergognatevi.

  • sergio cardone 21 Luglio 2018

    se non si trattasse di cose tragiche sareste comici.

  • Ilaria 19 Luglio 2018

    In che modo Thioro sarebbe una migrante, dal momento che la storia è ambientata in Africa?

  • Sabatangelo 18 Luglio 2018

    E alla fine il lupo muore. Non dicono niente gli animalisti cugini dei buonisti ?