Marta Russo, il ricordo della sorella. I dubbi e le tesi degli innocentisti

8 Mag 2017 16:30 - di Redazione

Domani saranno vent’anni dall’uccisione di Marta Russo all’università La Sapienza. E proprio a vent’anni di distanza sua sorella Tiziana ha deciso di scrivere un breve libro sulla vita e la morte di Marta. “Solo un preludio – viene spiegato dall’associazione intitolata alla studentessa – a un volume attualmente in fase di scrittura che uscirà nei prossimi mesi”. Il primo è già disponibile a un euro come ebook.

“Con questo primo scritto e il successivo Tiziana Russo – viene precisato – rompe il proprio silenzio per opporsi a chi, in tutti questi anni, ha portato avanti la tesi degli innocentisti che in modo spregiudicato continuano a difendere due pregiudicati condannati in ben cinque gradi di giudizio”. Con questi due scritti Tiziana Russo “vuole mostrare un punto di vista su sua sorella Marta che nessuno, tranne lei, può offrire, restituendole così tutta l’umanità che nel corso degli anni le è stata tolta dal suo ruolo di icona e falso mistero criminale”.

Un atto d’omaggio da parte di una sorella. Più che legittimo e doveroso. Ma questo nulla c’entra con i tanti, fondati dubbi, sollevati da un’inchiesta che non ha convinto al cento per cento. E nel ventennale della morte della studentessa un altro libro, una controinchiesta di Vittorio Pezzuto (Marta Russo. Di sicuro c’è solo che è morta, reperibile su Amazon) analizza carta dopo carta, documento dopo documento, verbale dopo verbale il teorema giudiziario (racchiuso in 15mila pagine) che ha portato alla condanna di Scattone e Ferraro. Un teorema appunto, secondo Pezzuto, che già si è occupato in passato di un altro clamoroso caso di malagiustizia, quello di Enzo Tortora. 

La sua tesi la spiega così in un’intervista: “Nel 1997 dopo gli omicidi non risolti di Alberica Filo Della Torre, Simonetta Cesaroni, Antonella Di Veroli, Giuseppina Nicoloso, procura e questura di Roma sono al punto più basso. La morte di Marta Russo scatena la voglia di rivincita. La procura imbocca una sola pista, piuttosto fragile, e trascura le altre. Il risultato finale – in Cassazione – è uno scheletro spolpato: manca il movente del delitto, manca l’ arma, mancano le conferme dei periti chimico-balistici e dei tabulati telefonici, si sgretolano i riscontri, emergono folli pressioni sui testimoni, cade la presunta correità dei docenti».

Pezzuto evoca i metodi da inquisizione che hanno contrassegnato le fasi del processo: «Omicidio colposo in cui l’assenza di movente diventa essa stessa movente perché, come disse il procuratore d’Appello, ad armare la mano di Scattone fu il Diavolo: su, non scherziamo, dai tempi dell’Inquisizione non si sentiva roba così. Del resto pure frasi bibliche sui diari degli indagati furono rovesciate in indizi di colpevolezza». E allora chi ha sparato a Marta Russo uccidendola? Pezzuto sottolinea che le piste alternative non furono mai prese in considerazione: “Da quella politica (nell’anniversario dell’omicidio Moro) a quella dell’errore di persona. Quel 9 maggio alla Sapienza c’era il brigatista Paolo Broccatelli. E alla Sapienza studiavano due ragazze molto somiglianti a Marta, una delle quali, sotto programma protezione, aveva ricevuto in quei giorni minacce di morte. Ma la procura non si è mai smossa dalle sue convinzioni».

 

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