Vino e cibo: il “made in Italy” che non conosce crisi. Ma si può fare di più

29 Nov 2015 8:04 - di Redazione

Siamo nel periodo di massima popolarità della cucina italiana, grazie anche alla consacrazione internazionale di alcuni cuochi nazionali che, a partire da Massimo Bottura, vengono ormai considerati e trattati alla stregua di movie star. Tuttavia, se da una parte la visibilità mediática amplifica la percezione di questo fenomeno, dall’altra le ricadute potenziali sul sistema economico sono ancora ampiamente inespresse, a causa della mancanza di politiche coordinate per valorizzare le connessioni tra cucina, produzione e distribuzione agroalimentare, ma anche turismo e cultura. Il ragionamento è semplice e non è nuovo: sfruttare la potenza del brand Italia nel food and wine per aumentare le esportazioni, riconquistare l’ampia quota di mercato internazionale occupata da prodotti contraffatti o ingannevoli, sostenere la creazione di piattaforme distributive e di reti nella distribuzione e nella ristorazione, aumentare l’attrattività del paese verso i turisti affluent di tutto il mondo.

Utilizzare i cuochi italiani come ambasciatori del food and wine nel mondo.

Non è un progetto banale – scrive “il Sole 24 Ore” – perché le competenze di governo sono segmentate tra diversi ministeri e alcune materie sono di pertinenza delle regioni, per cui è comprensibile che il passaggio dall’idea alla realizzazione possa avvenire soltanto attraversando un terreno inesplorato e spesso impervio. Sarebbe invece incomprensibile se a questo punto non ci si provasse. Se c’è accordo su questo, serve un’azione di Governo, finalmente con un forte endorsement del Presidente del Consiglio perché è l’unico modo per coinvolgere Ministeri diversi e Regioni, tutti importanti per raggiungere l’obiettivo.

Le iniziative finalizzate a valorizzare l’eccellenza italiana non sono coordinate.

Serve una cornice, nella quale possano trovare spazio numerose azioni promosse erealizzate da soggetti pubblici e privati, ma coerenti, collegate e sinergiche. Il primo dei grandi capitoli di un simile progetto riguarda il potenziamento delle imprese del settore mediante azioni che favoriscano la crescita dimensionale o la condivisione di alcune fasi della catena del valore. Si tratta di un obiettivo importante sia per le imprese di produzione, sia per le realtà distributive, troppo piccole per competere a livello globale in questo settore.

“Piccolo ma bello” non funziona nemmeno nel settore “vino e cibo”

Un secondo punto deve orientare le imprese di ristorazione italiana, con particolare riferimento a quelle di alta qualità, verso diversi modelli di business, orientati alla replicazione e allo sviluppo internazionale. Una terza area di intervento riguarda la difesa del brand Italia e le attività di comunicazione necessarie a diffondere la consapevolezza dei valori e delle caratteristiche delle produzioni italiane autentiche. In questo campo i cuochi, insieme alle rappresentanze diplomatiche, gli istituti italiani di cultura e alle imprese italiane presenti all’estero possono fare moltissimo. La consapevolezza del vero made in Italy è molto bassa e limitata agli addetti ai lavori o a fasce di clienti evoluti, non necessariamente ad alta capacità di spesa. Una quarta area di intervento non può non considerare il potenziale di attrattività del food and wine italiano per il turismo internazionale, anche in una prospettiva di valorizzazione dei beni e delle attività culturali.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *