Buttafuoco: «Almirante fece della sua vita un capolavoro. Dannunzianamente»

27 Giu 2014 8:14 - di Antonella Ambrosioni

Lo stile inconfondibile di un uomo d’altri tempi, il carisma unito all’umiltà, l’eleganza naturale, la galanteria unita al dono di una parola brillante. Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e giornalista, disegna un ritratto delizioso di un Almirante con le stimmate di  grande “incantatore”, capace di evocare quasi una  dimensione “pre-politica”.

Buttafuoco, quale Italia Almirante ha rappresentato? 

L’Italia, nel suo racconto, non può prescindere dalla presenza di Almirante. È stato un protagonista, la voce di tanta parte della Nazione non necessariamente rinchiusa nei risultati elettorali del Movimento Sociale. Perché sappiamo bene che la maggioranza degli italiani non è di sinistra, possiamo dire che sia di destra, e sicuramente trovava in Almirante non solo un pensiero, ma anche quella capacità fatta tutta di coraggio di interpretare sentimenti e prese di posizione che altri non avrebbero saputo né vivere né capire. A maggiore ragione è stata la voce degli italiani che si sentivano indifesi rispetto alla potenza di fuoco dell’immaginario della sinistra, delle parole d’ordine  e della sudditanza culturale che la Dc al tempo, e quindi il mondo dei moderati insieme, ha sempre avuto nei confronti della “Chiesa ufficiale” del pensiero politico, che era il Partito comunista, e che ora è, aihnoi, il conformismo istituzionalizzato.

Il calore della sua oratoria ne faceva un incantatore di folle?

Sì, riusciva ad avere una folla quantomeno decuplica rispetto ai risulti elettorali: tutti andavano ai suo comizi, come tutti restavano  incollati davanti al televisore ancora in bianco e nero. Tant’è vero che le sue apparizioni televisive oggi sono dei “gioielli” che su internet vivono di vita propria. 

Fu uno sconfitto?

Assolutamente no. Sono state altre, a ben vedere, le esperienze politiche ad essere uscite sconfitte. Anche recenti. Non credo che Almirante possa dirsi sconfitto, così come non credo che quello che è venuto dopo, ossia  la stagione politica di governo della Destra, possa considerarsi una sua vittoria o una vittoria tout court.  Il fatto stesso che, insieme a pochi altri, sia riuscito a dare vita e forma – in quelle particolari circostanze storiche – a un partito come il Movimento sociale italiano, è più che sufficiente a farne un autentico protagonista della vita politica italiana. Un vero mattatore. La sconfitta della Destra, semmai, si è verificata in seguito… 

Fu un sognatore?

No, fu un uomo che aveva studiato in un ottimo liceo classico, aveva vissuto un’avventura meravigliosa e totalizzante identificata nella sua biografia, nelle sue scelte, nel suo essere anche un eccezionale istrione. Il sogno l’ha vissuto: dannunzianamente fece della sua esistenza un capolavoro.

Che dire del suo stile?

Aveva un’eleganza naturale, un stile “francescano”, era un italiano calato proprio  nell’essenza dell’identità di questa terra, tant’è vero che aveva la capacità straordinaria di essere onnipresente, di arrivare dappertutto. E, roba non da poco, di non ripetere mai, ma proprio mai lo stesso comizio. Ha saputo riassumere in sé le qualità del bravo professore di letteratura italiana, del bravissimo attore, dell’astuto politico, del coraggioso combattente, del cinico “trafficante d’anime”: perché dobbiamo immaginare che quel partito, quel mondo fu la riproduzione in piccolo di una disfatta, di una tragedia, che aveva visto falcidiare davanti a sé le prime, ma anche le seconde e le terze file di un mondo che era stato protagonista e che poi si era ritrovato a vivere con i superstiti.

Aveva un galanteria innata…

Galante? Direi piuttosto che era educato bene. Un uomo di stile. Un uomo d’altri tempi. C’è un episodio che racconta meglio di tanto altro la naturalezza del suo modo di porgere. Senza essere ammaestrato secondo i codici del “politicamente corretto”, si esibì in uno straordinario, elegante, raffinato baciamano con Giò Stajano che fu il primo transessuale d’Italia dichiaratamente e orgogliosamente di destra. I due si incrociarono al Teatro Sistina e  Stajano gli andò incontro per salutarlo, convinto anche di scandalizzarlo. E, invece, Almirante con grande naturalezza fece il suo baciamano accompagnandolo con un impeccabile: «Mi saluti la mamma», perché Giò era nientemeno che nipote di Achille Starace. Stajano mi ricordava sempre questo episodio, quasi con le lacrime agli occhi.

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