Governo pronto entro sabato. I dubbi sulle “quote rosa” e il siluro di Barca intaccano l’immagine di Renzi

18 Feb 2014 11:44 - di Valeria Gelsi

La squadra di governo di Matteo Renzi sarà pronta «entro fine settimana». Ad assicurarlo è stato il ministro uscente Graziano Delrio, che nella sua veste di prossimo sottosegretario alla Presidenza è l’unico punto fermo dell’esecutivo in via di costituzione. Per gli altri nomi, invece, siamo agli indovinelli o, se si preferisce, al toto ministri. Un esercizio accademico che impazza su tutta la stampa e che, partendo da qualche indiscrezione o da qualche indicazione di metodo, finisce per riempire intere paginate. Ciò che si sa è che Renzi vuole un esecutivo per metà rosa e, quindi, i nomi delle ministre sono un toto-incarico a sé. Come new entry si fanno quelli della fedelissima Maria Elena Boschi e della senatrice Roberta Pinotti, entrambe del Pd, poi c’è l’ipotesi di riconferma per Beatrice Lorenzin ed Emma Bonino e circola anche il nome di una “ex”, quello di Paola Severino, già apprezzata nella squadra di Monti. All’indomani dell’esperienza del governo Letta, però, non ci si può non chiedere se non sia il caso di pensionare definitivamente questa storia delle quote. Delle sei ministre in carica fino all’altro giorno una, Josefa Idem, si è dovuta dimettere per la faccenda delle irregolarità nel pagamento delle tasse, un’altra, Nunzia De Girolamo, per le registrazioni rubate sulla gestione della sanità in Campania, e un’altra ancora, Annamaria Cancellieri, si è salvata per il rotto della cuffia dopo l’affaire Ligresti. E questo senza entrare nel merito delle valutazioni politiche che, per esempio, su Cécile Kyenge sono state impietose da parte di osservatori di tutte le estrazioni politiche.

A governo Letta concluso, dunque, si può dire senza timore che l’operazione “quote rosa”, evidentemente messa in campo come operazione di immagini, è miseramente fallita e che meglio sarebbe stato puntare sulla qualità specchiata piuttosto che sul genere e sui nomi a effetto. Ora, a giudicare dalle parole di Matteo Orfini riportate da La Stampa («Ma noi una donna decente giovane e in gamba non ce la abbiamo?»), sembra che l’esecutivo Renzi stia per nascere con lo stesso vizio di fondo. Cosa che, comunque, oggi come oggi, rischia di apparire come un peccato veniale di fronte al peccato capitale smascherato dallo scoop de La Zanzara. Ovvero che la squadra di governo in realtà la sta facendo Carlo De Benedetti, come confessato da Fabrizio Barca durante la telefonata del finto Nichi Vendola della trasmissione radiofonica. «Il padrone di Repubblica, con un forcing diretto di sms, attraverso un suo giornalista, con una cosa che hanno lanciato sul sito “chi vorresti come ministro dell’Econimia” dove ho metà dei consensi. Questi sono i metodi», ha detto Barca, che un attimo prima aveva parlato di «sarabanda del patron della Repubblica che continua…». Con questo pressing e con il fatto che «non c’è un’idea,», Barca ha spiegato il suo rifiuto di andare al ministero dell’Economia. E ha, involontariamente, assestato un colpo mortale all’immagine dell’esecutivo che va nascendo – parole sue – solo sugli «slogan» e sotto il segno della «irresponsabilità politica», di un elevatissimo «livello di personalismo» e «con un passaggio all’io». Con buona pace di Delrio che oggi, raggiungendo Montecitorio per le consultazioni del presidente del Consiglio incaricato, rassicurava: «Il lavoro procede bene, siamo tranquilli».

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