E ora Bersani “fa il matto” sull’art. 18

21 Dic 2011 20:42 - di

Aveva la necessità di rompere l’assedio, Bersani. Le cose, per il Pd, si stavano mettendo decisamente male, con la Camusso che, per non perdere la faccia, s’era trovata costretta a fare la leader sindacale e portare gli iscritti in piazza; con i vertici del partito spaccati a metà tra i “montiani” e malpancisti; con il popolo del web che travolgeva le pagine facebook con vignette, video, link, commenti al vetriolo, “pagano i ricchi? Ma davvero credete che siamo fessi?”; con la base militante che rumoreggiava, non sapendo più che cosa raccontare in giro, come giustificare agli operai il silenzio sull’aumento della benzina, che colpisce soprattutto chi deve recarsi ogni giorno sul posto di lavoro. Come uscire dal disastro? Facendo la faccia dura, anche a rischio di essere sbeffeggiato per il cambio repentino di linea sull’articolo 18. Ventiquattr’ore prima, mentre gli scoppiava l’inferno intorno, aveva semplicemente affermato che si trattava di una decisione da assumere con calma, lasciando intendere che comunque era un tema da affrontare. Ventiquattr’ore dopo, invece, ha usato toni e parole tipiche della Cgil vecchia maniera: «È roba da matti toccare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori». E se l’esecutivo dovesse andare avanti comunque per la sua strada? «Il governo – ha detto Bersani – lo deve capire, lo capirà, altrimenti…». Una vera e propria minaccia che arriva al governo dei tecnici proprio da chi ne è stato uno dei promotori e che, fino a qualche giorno fa, sosteneva che qualsiasi cosa facesse Monti andava bene perché serviva «a salvare l’Italia». Sulla riforma del mercato del lavoro – ha detto il leader del Pd a mo’ di scusa – la priorità è favorire le assunzioni, non partire dalle norme sui licenziamenti. Belle parole, tanto fumo, niente arrosto. Il prossimo anno, ha sostenuto Bersani, «non sarà semplice e bisogna mettere al centro le condizioni reali delle persone, l’occupazione, il lavoro, i redditi». Appunto. Ed è proprio per questo che in molti, compreso Pietro Ichino, senatore del partito, pensano che non sarebbe male eliminare alcune delle ingessature che non aiutano le assunzioni e rappresentano l’elisir di lunga vita del precariato. Ma lui (solo adesso) finge di non capire e di non sentire.

Stop alle ideologie
È evidente che dovunque esistono delle persone ipergarantite ce ne sono anche altre che di garanzie non ne hanno affatto. In questo senso il sindacato dovrebbe riflettere sugli errori commessi negli anni in cui le ideologie hanno avuto la meglio sul compromesso e sulla mediazione. «L’articolo 18 – ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani –  va rivisitato non in un clima di veleni o contrapposizioni, ma in un clima di responsabilità e confronto serio. Pertanto va trovato un punto d’incontro tra la tutela di chi è occupato e l’aspirazione di chi cerca lavoro». Anche perché è abbastanza facile capire che, con il vento che tira, i disoccupati sono destinati ad aumentare, «sia – ha detto Luigi Angeletti, leader della Uil – per effetto della recessione, sia per il fatto che centinaia di migliaia di persone in cassa integrazione, con queste prospettive, difficilmente potranno rientrare sui posti di lavoro». Da qui la necessità che da una parte il governo adotti delle politiche espansive e dall’altra le organizzazioni sindacali si aprano alle novità. In questo senso il caso della Fiat e di Pomigliano D’Arco fa scuola: se la Cgil continuerà a pensare che in questo Paese tutto deve continuare a passare per la lotta di classe sarà difficile crescere e creare nuove opportunità per i giovani e per le donne. Così come sarà altrettanto difficile pensare che i salari possano crescere, anche dopo la constatazione della Fornero (abbiamo buste paga basse) e la sfida di Bonanni al ministro affinché venga messo in piedi un tavolo per parlare di come aumentarli.

Arriva la recessione
Sono proprio le difficoltà produttive, oltre all’invito che ci viene dalla Ue, a rendere la riforma del mercato del lavoro non più rinviabile: la disoccupazione aumenta e l’economia si avvia verso la recessione. La coperta si fa sempre più corta e lo certificano gli ultimi dati forniti ieri dall’Istat da cui emerge che nel terzo trimestre dell’anno il Pil è diminuito dello 0,2% rispetto a i tre mesi precedenti. Rivisti al ribasso anche i dati sul Pil dei due trimestri precedenti, passati rispettivamente a 0,8 e 0,7%, dall’1 e dallo 0,8 precedenti. Sono gli annunci di una vera e propria recessione, mentre in Giappone il Pil è aumentato in termini congiunturali dell’1,5 per cento, negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito dello 0,5; in Francia dello 0,4. Nel complesso dell’area Euro il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,2%. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente la crescita è stata invece pari all’1,4%. E di pari passo con il Pil diminuisce in Italia anche la spesa delle famiglie residenti. Nel terzo trimestre del 2011, rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, la contrazione è stata dello 0,2%, mentre la Pubblica amministrazione ha fatto segnare un meno 0,6%.

Bce in campo

Principali Borse europee in calo (Milano ha chiuso con una flessione dello 0,97 per cento) e ritorno della tensione sui titoli di Stato di Spagna e Italia (lo spread tra Btp e Bund ieri è ballato a lungo molto vicino alla soglia psicologica dei 500 punti base), dopo la diminuzione del 2,6 per cento delle richieste settimanali di mutui in Usa, che ha fatto seguito al precedente dato che segnalava una crescita del 4,1 per cento. Eppure la giornata era partita molto bene, sull’onda della prima asta di rifinanziamento illimitato della Bce che aveva registrato una richiesta record, con 523 istituti di credito partecipanti e 498,191 miliardi a tre anni, assegnati a un tasso fisso agevolato dell’uno per cento. Dall’Italia 14 istituti di credito in campo con 40 miliardi di euro di totoli garantiti dallo Stato come collaterale: Unicredit 7,5; Intesa Sanpaolo 12; Mps 10 e altri importi minori. Oltre a questa asta  per iniettare liquidità el sistema e scongiurare il credit crunch, l’istituto di Francoforte ha assegnato altri 30 miliardi nell’asta a tre mesi e 33 miliardi di dollari nell’operazione a 14 giorni. Adesso le banche hanno in mano le risorse per poter  erogare credito a famiglie e imprese. Si può dire che la Bce ha battuto un colpo, adesso  i governi di Eurolandia devono fare altrettanto. In caso contrario è evidente che i mercati continueranno a non fidarsi.

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