Pd, volano gli stracci: nella corsa a 3 ai gazebo tutti sgomitano tutti. Renzi e Boschi “grandi assenti”

4 Feb 2019 9:51 - di Lara Rastellino

Gelo renziano, Calenda arrabbiato, Lotti e Boschi grandi assenti: il bilancio del travaglio dem alle prese con quella che sembra una interminabile fase di interregno seguita alla sconfitta del 4 marzo ha raggiunto l’apice dell’indeterminatezza proprio ieri con la celebrazione – con la convenzione nazionale – di uno dei passaggi chiave nella corsa verso i gazebo che dovrebbe portare al traguardo uno dei tre candidati più votati dai circoli: colui che uscirà vincente dalla sfida all’ultimo voto popolare in calendario tra un mese esatto, il 3 marzo.

Gazebo Pd, la corsa parte zoppa: malumori e malpancisti. Zingaretti in pole position

Dunque, allo stato dei fatti, e conti alla mano, la verità stigmatizzata a suon di cifre – e dunque con l’attendibilità propria della matematica percentuale – indica Nicola Zingaretti al 47,38% (88.918 voti), Maurizio Martina al 36,10% (67.749), Roberto Giachetti all’11,13% (20.887). È finita così la prima fase del Congresso del Pd, quella riservata ai Circoli, con i risultati formalizzati dalla Convenzione che ha dato il via ufficiale alla corsa a tre alle primarie del prossimo 3 marzo. Una Convenzione che ha cercato di voltare pagina, a partire dai dettagli, ma che ha portato a galla tutti i malumori e le controversie in corso tra le varie anime di un Pd disgregato e sull’orlo di una crisi di nervi. Una crisi annunciata anche dalle strizzatine d’occhio all’Unione europea lanciate dal palco con la modifica della scenografia della struttura, che ha consentito di inserire le bandiere dell’Europa tra quelle del Pd e l’inno europeo in apertura prima di quello di Mameli. Un sapido assaggio del boccone ben più indigesto che Calenda dovrà ingoiare di lì a poco con la presentazione del manifesto degli eurodeputati contro il suo. E se il buongiorno si vede dal mattino, come valutare le assenze – neppure inedite – di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e, dulcis in fundo, di Paolo Gentiloni, impegnato negli Stati Uniti per incontri e conferenze? Assenti non proprio giustificati, rispetto ai quali è saltata agli occhi, invece, la partecipazione solerte di Dario Franceschini e Lorenzo Guerini e di Carlo Calenda, avvistato a lavori avviati e non prima. La prima fila, comunque, è stata tutta per i sei candidati alla segreteria.

Renzi grande assente, Calenda “irritato” per il manifesto degli eurodeputati contro il suo

«Dobbiamo voltare pagina, che significa non pretendere abiure, nessuno le cerca, ma ammettere insieme ai successi i nostri limiti, che ci sono stati», ha esordito allora Zingaretti nel suo intervento sulle spalle del quale, primo nella fase dei Circoli, grava la responsabilità di presentarsi ai gazebo da favorito, apripista di un partito democratico che, alla fine della fiera, sarà molto diverso da quello conosciuto finora. Già, perché più che sui presenti e sui candidati in pole position alle primarie, il vero snodo per il futuro del Pd sembra giocarsi proprio sull’assente numero uno: Matteo Renzi: o meglio, tra chi vorrebbe seguire la sua linea, quella fissata prima dell’auto-esilio da Largo del Nazareno e chi, come il presidente della Regione Lazio, vorrebbe quanto meno cominciare a parlare di svolta. E malgrado nel suo discorso Zingaretti si sia sforzato di parlare a tutto il partito, “dribblando” le polemiche interne –«Basta con un partito fondato sugli antirenziani, gli antifranceschiniani, gli antiboschiani», ha tuonato il numero uno della Pisana – l’auspicato cambio di passo prodromico alla fatidica svolta ancora non si vede. Malgrado gli sforzi di Giachetti per proporsi come unico competitor diretto di Zingaretti e nonostante gli endorsement per Martina che punta a una vagheggiata, e mai raggiunta fin qui, «segreteria unitaria». «I miei avversari sono Di Maio, Salvini e il governo», ha puntualizzato l’ex segretario dem concludendo: «Lavoro per un partito unito, senza rancori e nostalgie». Ma Calenda – che nei giorni scorsi ha lanciato il suo manifesto per le europee a  Roma, insieme a rappresentanti dell’associazionismo civile e politico – non ci sta, li incalza e, di fatto, li delegittima tutti: «I candidati alla segreteria del Pd – ha tuonato l’ex ministro – dovrebbero cominciare a parlare più di quello che vogliamo fare per l’Italia e per l’Europa, rispetto a quello che vogliamo fare nel Pd». Un rinnovamento globale che per Calenda parte dalla considerazione che «le liste del Pd alle politiche erano di una qualità talmente scadente che hanno contribuito al cattivo risultato». Un malumore, quello di Calenda, che ieri all’Ergife per la convenzione del Pd, l’ex ministro ha fatto fatica a dissimulare; tanto che, come riporta il Corriere della sera oggi, «è apparso innervosito per la presentazione di un documento degli europarlamentari dem sulla linea da seguire in vista delle Europee, che era apparso in contrapposizione con il suo»… «Un incidente rientrato apparentemente senza conseguenze. Apparentemente appunto»….

 

 

 

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