Parla Biloslavo: “Il jihadista italiano pentito? Attenzione potrebbero essercene altri…”

15 Feb 2019 15:58 - di Redazione
Biloslavo

Ora sembra un agnellino, un bravo ragazzo. Gli hanno anche tagliato la barba ma la verità è che è un terrorista che ha combattuto per lo Stato Islamico”. Così all’Adnkronos Fausto Biloslavo, autore dell’intervista esclusiva a Samir Bounaga, il primo jihadista italiano dello Stato Islamico catturato dai curdi nel nord est della Siria, realizzata in video per la trasmissione della Rai Porta a Porta e pubblicata su alcuni quotidiani tra cui Il Giornale. Biloslavo durante l’incontro con il terrorista italiano era in compagnia di Gabriele Micalizzi, il fotoreporter ferito al volto nei giorni scorsi in Siria. “Ottenere l’autorizzazione a incontrare Samir non è stato facile, ma alla fine è stato possibile”, spiega Biloslavo, che racconta la sua prima impressione davanti al terrorista italiano: “Mi è sembrato un furbetto più che un jihadista pentito. Come per le donne italiane jihadiste pentite, che avevo incontrato tempo fa, il leitmotiv è sempre lo stesso: Ci abbiamo creduto. Ma lui è stato davvero in prima linea, ha imparato a sparare e quindi a uccidere. Si è pentito ma solo perché gli sono arrivate addosso bombe russe e americane”. Insomma, “non credo molto al pentimento di Samir se non come viatico per arrivare nelle carceri italiane che, come dice lui sono meglio di quelle curde”. Ma il terrorista italiano è convinto che stava “facendo la cosa giusta perché lo Stato islamico era potente e contava su un territorio importante. La gente ci ringraziava”. A proposito delle stragi jihadiste in Europa, racconta Biloslavo sul quotidiano Il Giornale, Samir ricorda con un sorrisetto beffardo che “dopo Bruxelles o Parigi ci mostravano i filmati degli attentati sui maxi schermi in piazza a Raqqa. E facevano vedere anche i video delle esecuzioni. La gente stava lì a guardare con la moglie e i figli”. Ma poi cambia tutto. Dal 2015 “ti svegliavi la mattina e non sapevi se arrivavi vivo a sera per i bombardamenti. Avevo paura – dice – per l’incolumità della mia famiglia”. Samir ha il passaporto italiano e quindi pensa di consegnarsi “alla nostra ambasciata a Istanbul”, paga un trafficante “che voleva 2000 dollari” per portare lui e la famiglia “in Turchia. Ma invece ci ha consegnato alle forze curde vicino a Raqqa. Lavorava per loro”. Ora Samir, da dietro le sbarre, sa che non tornerà presto libero e che dovrà pagare per quello che ha fatto. Sulla possibilità che torni nel nostro Paese, “non c’è interesse per l’Italia a riprendersi un terrorista. E lui – afferma Biloslavo – è il primo ma potrebbero essercene altri nell’ultima sacca del califfato”.

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