L’autonomia del Nord è una bomba piazzata sotto il SalviMaio. Ecco perchè

16 Feb 2019 12:15 - di Giacomo Fabi

Si scrive autonomia differenziata, ma si legge Vietnam. Mai, infatti, come ora su questa materia, il governo giallo-verde ha rischiato di saltare per aria o di restarci secco in un’imboscata. Del resto, per il cosiddetto SalviMaio, il terreno non potrebbe presentarsi più ostico: quello della contrapposizione Nord-Sud, le rispettive roccaforti elettorali. Lo stop intimato l’altra sera in Consiglio dei ministri dalla delegazione pentastellata ha dato fuoco alle polveri e anche se dai due quartier generali l’ordine è quello di smussare e minimizzare, non v’è chi non veda stagliarsi all’orizzonte una tempesta di quelle omeriche per la maggioranza giallo-verde.

Il SalviMaio in balia dell’autonomia del Nord e della rivolta del Sud

I nodi sono tanti, troppi forse, tutti intrecciati tra loro e ciascuno in grado di imbrigliare entrambe le leadership. Cominciamo da Salvini: dipendesse solo da lui, manderebbe tutto a benedire, dal momento che la furia polemica innescata dal tema dell’autonomia rafforzata, già ribattezzata al Sud come “secessione dei ricchi“, rischia di ridurne in cenere il progetto di Lega nazionale. Ma tutto può pensare il capo leghista tranne che fare spallucce, dal momento che a tenere alta la bandiera del Nord sono i governatori di Lombardia e Veneto, Fontana e Zaia, i quali non ci pensano proprio ad ammainarla o solo a riporla momentaneamente. Morale: prima o poi Salvini dovrà scegliere, e se sarà costretto a farlo prima delle Europee del prossimo maggio, qualcosa in termini di consensi perderà. Al Nord o al Sud.

La strategia di Fico per stanare il capo politico del M5S

Non è messo meglio di lui Di Maio, anzi. Tanto più che l’autonomia rafforzata lui l’ha sottoscritta, nero su bianco, nel contratto di governo. Se ora aziona il freno d’emergenza è perché costretto a farlo dal malpancismo di molti parlamentari meridionali e dalla rivolta degli amministratori del Sud. In più c’è l’incognita Fico: il presidente della Camera ha già fatto sapere che il Parlamento non ci sta a recitare la parte del convitato di pietra e rivendica un ruolo nella definizione dell’iter che porterà al trasferimento dallo Stato alle tre regioni (c’è anche l’Emilia Romagna, a guida Pd) di ben 23 competenze legislative e delle relative risorse finanziarie. La sua posizione è di quelle definite win-win, cioè vincente in ogni caso: se il Parlamento avrà un ruolo (e il ministro Fraccaro ha assicurato che così avverrà), sarà la sua mediazione ad intestarsi qualche modifica migliorativa del testo; se non lo avrà, la colpa della vittoria delle regioni del Nord ricadrà per intero su Di Maio. Insomma, per il SalviMaio il Vietnam è già cominciato.

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