Baby gang, fronte contro l’idea della Lega di abbassare l’eta di punibilità a 12 anni

15 Feb 2019 18:54 - di Redazione

La Direzione Investigativa Antimafia aveva lanciato l’allarme pochi giorni fa rivelando che la criminalità organizzata sta puntando sempre di più sui giovani e giovanissimi e sulle baby gang che rappresentano un bacino importante per i clan alla continua ricerca di affiliati “motivati”.
Ma un convegno, ora, solleva la questione della imputabilità dei giovanissimi criminali dopo che la Lega ha depositato alla Camera una proposta di legge, proprio per contrastare il fenomeno delle baby gang, firmata da tutti i deputati del Carroccio in Commissione Giustizia, che, fra le misure proposte, prevede anche quella di abbassare il limite dell’imputabilità da 14 a 12 anni.

E c’è chi, come il questore di Napoli – città dove le baby gang spadroneggiano, secondo i dati statistici – mette in dubbio sul reale beneficio di abbassare l’età imputabile a 12 anni per arginare gli episodi.

Non c’è dubbio che il fenomeno sia in crescita vertiginosa tanto che, come rivela Luigi Rinella, dirigente della squadra mobile di Napoli, un investigatore che opera quotidianamente sul territorio confrontandosi con il problema, lo scorso mese di giugno è stato costituito un gruppo investigativo permanente all’interno della squadra mobile di Napoli, su indicazione del capo della polizia e input della Procura di Napoli e con l’apporto degli investigatori dello Sco, per l’analisi del fenomeno.
«Raccogliamo informazioni e le analizziamo per individuare le migliori strategie di prevenzione e di contrasto», spiega Rinella sottolineando che il fenomeno della criminalità minorile «è da tenere d’occhio con attenzione» perché la camorra «segue e “coltiva” i giovani più spregiudicati come riserva per implementare le proprie fila e utilizzarli in caso di bisogno».

Rinella, tuttavia, tiene a evidenziare la differenza fra due fenomeni, quello della criminalità minorile e quello delle baby gang, posto che «nella camorra si è assistito in questi anni ad un oggettivo abbassamento dell’età media. Qui però non parliamo di “baby gang” ma di aggregazioni criminali per le quali è possibile ipotizzare reati da “416 bis“, come omicidi o estorsioni e che mostrano un modus operandi caratterizzato da ferocia nelle azioni e omertà totale».

«Le cosiddette “baby gang” – precisa il dirigente della squadra mobile di Napoli – si caratterizzano invece per la commissione di atti vandalici, episodi di bullismo, piccoli furti e altri reati predatori come rapine e scippi».

Rinella non ha difficoltà a tracciare un identikit dei giovanissimi che agiscono nelle baby gang: «sono ragazzi cresciuti in quartieri degradati, con pochi spazi per iniziative sociali, privi di altri interessi, sia di tipo culturale che sportivo, che si aggregano nelle piazze del quartiere e hanno, come unico riferimento, le figure emergenti della criminalità, i boss conosciuti in zona che diventano così figure da imitare». C’è, insomma, alla base, uno spirito di emulazione. Chissà, forse anche veicolato da una certa filmografia alla Gomorra. Come la “Paranza dei bambini“, l’ultima fatica di Saviano.

Nell’ultima relazione presentata al Parlamento relativa al primo semestre 2018, la Direzione Investigativa Antimafia parla di «deriva socio-criminale» sostenendo che «le caratteristiche sociali, culturali ed economiche dei quartieri degradati o periferici di Napoli agevolano l’arruolamento di giovani leve, molte delle quali minorenni, attingendo dal vivaio delle bande della microcriminalità».

«Le azioni, spesso connotate da un’ingiustificata ferocia – scrivono gli analisti della Dia – sfociano in episodi di bullismo metropolitano e atti vandalici, consumati anche in danno di istituti scolastici ed edifici pubblici».
La relazione segnala il rapido diffondersi di episodi violenti commessi dalle baby gang, espressione di una vera e propria deriva socio-criminale. Spesso, chiarisce la relazione, «si tratta di gruppi composti da ragazzi considerati a rischio di devianza per problematiche familiari o perché cresciuti in contesti che non offrono momenti di aggregazione sociale: fattori che concorrono ad un percorso di arruolamento nelle fila delle consorterie criminali».

Quanto all’utilizzo dei ragazzini, secondo la Dia i minori rappresentano un ”esercito” di riserva per la criminalità, da impiegare, in particolare, nelle attività di spaccio delle sostanze stupefacenti dove, spiega la Dia, partecipano persino i bambini impiegati quali ”pony express” per le consegne a domicilio.

Dal presidente grillino della Camera, Roberto Fico, al Garante dell’Infanzia e dell’adolescenza, Filomena Albano, nominata dagli ex-presidenti di Camera e Senato, Pietro Grasso e Laura Boldrini, entrambi di Liberi e Uguali, si sta compattando un largo fronte che si schiera contro l’idea della Lega di abbassare il limite dell’imputabilità da 14 a 12 anni.

«La precocità di comportamenti così detti criminali non si contrasta anticipando l’età dell’imputabilità, ma piuttosto ricostruendo reti educative e intervenendo a sopperirle dove mancano – sostiene il Garante dell’Infanzia e dell’adolescenza, che sulla proposta di legge potrà esprimere il proprio parere – Se un dodicenne è stato capace di ferire qualcuno – anche gravemente – non vuol dire che si renda anche conto delle conseguenze della propria azione, del perché ha agito in quel modo», aggiunge Filomena Albano, già giudice del tribunale di Roma, I sezione civile – area famiglia/minori e diritti della personalità, la quale, come soluzione, prevede «un intervento educativo proporzionale alla lacuna che deve andare a colmare, che può arrivare anche – nei casi più gravi – all’allontanamento del minorenne dal contesto familiare inadeguato».

Il buonista Roberto Fico non si smentisce: «Parlare di pena a un minore non serve a niente. Un minore che delinque è sempre una vittima e va aiutato a riabilitarsi nella società – sostiene il presidente della Camera – Per me non ci può essere pena che non sia educativa, riformativa, riabilitativa. I minori, quando sbagliano, sono delle vittime perché non hanno potuto scegliere».

«Si potrebbe ipotizzare, che ferma restando la non imputabilità, sia possibile, previo accertamento psicologico, applicare delle misure anche coercitive tese alla rieducazione e al reinserimento – sfuma la senatrice azzurra Licia Ronzulli, presidente della Commissione Bilaterale per l’Infanzia e l’Adolescenza – Penso alla frequentazione di corsi o la permanenza in istituti appositi per recuperarli ed evitare che continuino a delinquere. Tutto molto complicato anche se in molti paesi già vige questo sistema che è a protezione sia del minore sia della società».

«Ferma opposizione all’abbassamento dell’età imputabile», da parte della Camera Penale Minorile che suggerisce, invece, «l’istituzione in ogni Comune, o consorzi di Comuni, di centri polifunzionali che accolgano i minori a rischio in regime semiconvittuale, avviandoli a percorsi educativi sia d’istruzione che di formazione professionale».

«Ci sono ragazzini che nel commettere atti efferati agiscono con la piena consapevolezza che alla loro età non possono essere puniti – taglia corto la psicoterapeuta Maura Manca, esperta del mondo giovanile e direttore dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza – Quindi, non sarà la soluzione, ma è indubbio che l’abbassamento del limite dell’imputabilità a 12 anni è una delle condizioni che dobbiamo prendere in considerazione se vogliamo porre un freno ed evitare che ci sia una dilagare della devianza giovanile».

Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza su un campione di 7.000 adolescenti, il 6,5 per cento fa parte di una gang. Tre su 10 hanno partecipato a risse. Il 10 per cento degli adolescenti ha aggredito una persona anche senza nessuna motivazione. Il 16 per cento ha commesso atti vandalici. Inoltre, ancora ragazzini, sempre più di frequente ricorrono all’utilizzo di armi come coltelli, tirapugni, spranghe e manganelli. Nell’identikit del piccolo gangster, il dato da evidenziare è la trasversalità del fenomeno: «Ci sono minori non appartenenti ad ambienti criminali, non cresciuti con modelli malavitosi, che però – avverte la psicoterapeuta che guida l’Osservatorio – mettono in atto comportamenti violenti e pianificati: la devianza ora abbraccia anche ragazzini di “buona famiglia”».

«Crediamo ci sia bisogno di dare maggior attenzione alla fragilità dell’infanzia e dell’adolescenza perché certamente le risposte e le soluzioni non possono essere solo quelle di punire ma è necessario dare maggior attenzione e risorse alle attività di prevenzione e di cura – dice la parlamentare di Fratelli d’Italia, Maria Teresa Bellucci, psicologa, psicoterapeuta e Capogruppo di FdI in Commissione Affari Sociali e nella Commissione Bicamerale Infanzia e Adolescenza – Un minore che delinque è un minore che nasce e che cresce in una famiglia che delinque. E, quindi, bisognerebbe intervenire per far si che quei bambini possano ricevere le giuste cure e le giuste attenzioni da parte delle istituzioni e dei servizi sociali preposti, ancor più quando la famiglia è manchevole. E questo alfine di non dover poi affrontare episodi come quelli delle baby gang, vicende di cui il governo se ne sta occupando in maniera miope e del tutto inefficace».

«Se si parla dell’abbassamento dell’età dell’imputabilità – ragiona la parlamentare di FdI – ci si dovrebbe interrogare anche su come risolvere la drammatica situazione in cui versano i carceri minorili, strutture in cui mancano, del tutto, gli interventi educativi e di supporto psicologico tesi al recupero della persona minore e al reinserimento in società. Oggi i carceri minorili producono, di fatto, professionisti del crimine».

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