Al festival di Sanremo la sinistra adotta “Dio è morto” di Guccini come inno anti-Salvini

9 Feb 2019 10:40 - di Robert Perdicchi

«Ecco, stanno attaccando Salvini, finalmente…». Il tam tam sulla rete era degno del richiamo alle armi di Braveheart, quando ci si prearava a menare le mani contro l’odiato nemico, finalmente. In mancanza di meglio, dunque, anche un vecchio pezzo di Francesco Guccini può diventare l’occasione per scatenare la guerra mediativa contro Matteo Salvini, la destra del rigore e la linea “sovranista” sull’immigrazione. Accade così che in un festival di Sanremo che quest’anno, dopo polemiche, ammonimenti e botta e risposta, si è in qualche modo riusciti a tenere ai margini della solita retorica di sinistra – a parte qualche battutina di Bisio sui passerotti “migranti” – perfino un vecchio e bellissimo pezzo come “Dio è morto“, denuncia sull’emarginazione sociale e l’assenza di valori nella società, diventi il pretesto per una lettura anti-salviniana.

Nei minuti in cui Claudio Baglioni e Luciano Ligabue duettavano sul pezzo, a due voci, sui social era tutto un diluviare di battute ironiche, di attacchi ai “razzisti”, di “vergognatevi, lo diceva anche Guccini” e via dicendo. Il testo della canzone diventava così un monito contro il vicepremier, grazie a una frase “Dio è morto nei miti della razza”, che nulla ha a che vedere con le politiche dell’immigrazione, anche perché quel testo di Guccini, come tutti sanno, si ispira al poema Urlo di Allen Ginsbergl del 1955un grido di dolore e protesta contro l’America del dopoguerra, un viaggio nella mente dell’autore, ispirato alla perdita dei valori quando Salvini non esisteva e la denuncia sociale non passava necessariamente per la demagogia del Pd. «È un Dio che è morto/Ai bordi delle strade, Dio è morto/Nelle auto prese a rate, Dio è morto/Nei miti dell’estate, Dio è morto…».

Una canzone che fu scritta da Guccini ma nel 1967 ne furono registrate due versioni: una dei Nomadi e un’altra cantata da Caterina Caselli ed ebbe grossi problemi di censura. Peraltro, la Rai classificò quella canzone di Guccini come blasfema, per il contenuto e per il titolo stesso, e non decise di non mandarla in onda. Radio Vaticana, invece, la trasmetteva. E negli anni successivi, forse, anche Radio Padania

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