La Procura di Roma indaga (di nuovo) per omissione di soccorso sulla Guardia costiera

31 Gen 2019 14:38 - di Paolo Lami
Ora i pm accusano la Guardia Costiera italiana per il soccorso agli immigrati

Il fascicolo, per ora, è contro ignoti ma l’accusa sulla base della quale si stanno muovendo in queste ore i magistrati della Procura di Roma che indagano sull’attività del Centro di coordinamento di ricerca e soccorso della Guardia costiera italiana di Roma in relazione al naufragio del 18 gennaio 2019 in cui sarebbero morti 117 immigrati è pesante: omissione d’atti d’ufficio.

La vicenda è, in qualche modo, collegata alla Sea Watch che, quello stesso giorno, recuperò, sempre in quell’area, i 47 immigrati, sbarcati oggi a Catania.

E’ la seconda volta che i magistrati se la prendono con la Guardia Costiera italiana giacché per il naufragio dell’11 ottobre 2013 – 268 i morti, il premier era, all’epoca, l’esponente Pd, Enrico Letta – le toghe hanno trascinato in Tribunale alcuni ufficiali italiani.

Stavolta è la Procura di di Agrigento a dare l’input inviando ai colleghi romani, che hanno poi aperto un fascicolo, gli atti.
Alla base della nuova indagine ci sono le dichiarazioni di 3 immigrati, due sudanesi e a un gambiano, i quali sostengono che sul gommone naufragato, che si trovava a 45 miglia da Tripoli, in piena zona  Search and Rescue libica, erano in 120.
Ma sono molti i dubbi sulla vicenda, ad iniziare dal numero dei morti che non sarebbero 117 ma, secondo la Marina, circa 50.

A segnare la sorte degli immigrati imbarcati sono stati gli stessi scafisti che oramai, volutamente, non utilizzano più barconi ma gommoni molto precari appena gonfiati e in grado di fare non più di una cinquantina di miglia prima di sgonfiarsi rilasciando il proprio carico umano in mare ben sapendo che ci sono le navi dell’Ong pronte ad accorrere.

In quel caso gli scafisti avevano messo in acqua il gommone carico di immigrati, nella notte, sulla spiaggia di Gasr Garabulli, detta anche Castelverde, una cittadina del distretto di Tripoli che si trova lungo la costa della Tripolitania, nel nord ovest della Libia e, 10 ore dopo, l’imbarcazione aveva come previsto, iniziato a perdere aria e ad affondare.

Un aereo del 41simo stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella inviato sul posto dopo aver ricevuto l’allarme aveva avvistato una cinquantina di persone e aveva, quindi, lanciato due zattere di salvataggio e, poco dopo, l’elicottero della nave militare italiana Duilio ha recuperato i tre immigrati con un verricello portandoli a Lampedusa mentre il Centro coordinamento soccorsi di Tripoli dirottava sul posto un cargo liberiano.
Anche la Duilio, pur se lontana 110 miglia dal luogo del naufragio, aveva diretto la prua verso l’area alla ricerca di naufraghi.
Ma per i magistrati si prefigura l’ipotesi di reato di omissione di soccorso per il ritardo con il quale vennero recuperati i tre naufraghi. 

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