Il Financial Times sceglie lo speculatore George Soros come persona dell’anno (video)

19 Dic 2018 19:15 - di Paolo Lami

Lui è George Soros,  il miliardario speculatore ebreo che quel lontano 16 settembre 1992 lanciò l’attacco finanziario contro l’Italia affossando la lira (e la sterlina) nel famoso e drammatico mercoledì nero e che, più recentemente, si è distinto nel finanziare a botte di dollari le Ong che scaricavano sul nostro Paese migliaia di immigrati a carrettate. Il giornale, invece, è il quotidiano della City (e dei poteri forti), Financial Times, quello che il 2 agosto 2013 titolò così, parlando di Silvio Berlusconi, allora premier italiano, appena condannato dalla Cassazione nel processo Mediaset: «The curtain falls on Rome’s buffoon, cioè Cala il sipario sul buffone di Roma», Berlusconi, appunto.

Oggi il Financial Times, questo rancoroso quotidiano che vorrebbe sempre mettere tutti in riga e che fa il tifo sfegatato per i banchieri snobbando i poveracci, ha annunciato di aver scelto come “Person of the year” nientedimeno che George Soros. Lo speculatore ebreo, insomma, è un modello a cui rifarsi, per i proprietari e i giornalisti della testata.
Verrebbe da dire che ognuno ha i modelli che si merita.
Nè vale la scusante, addotta subito dal Financial Times che la scelta della “Persona dell’anno“, una risibile tradizione tutta anglosassone, è «politica». Come dire: il giornalismo anglosassone, il fin troppo celebrato giornalismo anglosassone definito, per antonomasia, equidistante, ha, anch’esso, talvolta, le sue piccole, umane, debolezze in cui ama, ogni tanto, rotolarsi.

«Di solito scegliamo la persona dell’anno solo in base agli obiettivi raggiunti – ci informa il Financial Times con composta altezzosità fuori luogo – stavolta l’abbiamo scelta anche per i valori che rappresenta: Soros è l’alfiere riconosciuto della democrazia liberale e della società aperta, idee attaccate sistematicamente dai populisti».

Ora, diciamo la verità: quali “valori” può rappresentare uno speculatore ebreo che ha messo in ginocchio i poveracci con le sue manovre finanziarie? Può certamente rappresentare i cosiddetti “valori” – ma, poi, possono chiamarsi davvero valori e non, piuttosto, disvalori? – di un mondo aggrappato ostinatamente al dio denaro che il Financial Time ben incarna essendo il giornale dei banchieri e dei potentati economici.

«Alfiere riconosciuto della democrazia liberale», definisce Soros il quotidiano britannico. Riconosciuto da chi se non da una sinistra infantile in miserabile e penosa disfatta e da un’Europa autoreferenziale e parolaia che è il fantasma tremebondo di sé stessa? Quanto alla democrazia liberale, forse il Financial Times è fra quei giornali e quei maître à penser sconfitti nelle urne che pensano che il voto non debba essere concesso a tutti. E che, quindi, come dicono ai piani nobili (e anche dalle parti di Capalbio) «uno non vale uno».
Vecchio vizio quello della sinistra (sconfitta) – e, a questo punto, anche del Financial Times – di distribuire patenti di democrazia. Per un quotidiano di un Paese dove c’è ancora una Regina viva e vegeta è davvero un po’ troppo.

Ma il quotidiano dei banchieri che cerca di posare sul podio le terga dello speculatore Soros, si spinge, addirittura, a puntare il dito contro i “populisti”, qualcosa che per il Financial Times deve essere l’equivalente delle Piaghe d’Egitto di biblica memoria. Una specie di maledizione divina peggio delle voraci cavallette, questi populisti! Che si permettono, perfino di «attaccare sistematicamente le idee di Soros!». Come si permettono, questi “populisti” – si avverte anche un po’ di schifo e di ribrezzo fra le righe del Financial Times – di attaccare questo modello di democrazia liberale!

Sfugge, nell’enfasi retorica che gonfia il petto dei giornalisti del Ft, come la democrazia, in paesi liberali, passi dalle urne. Succede ancora, ogni tanto, incredibile. Quelle stesse urne che, in Italia, ma anche in molti altri paese, hanno sconfitto e seppellito, proprio il modello Soros, il modello Financial Times, quello dei banchieri e della cosiddetta «società aperta».
Qui, a questo punto, in conclusione, la scelta e ampia e variegata.
Potremmo citare, e lo facciamo volentieri, il sesto LP del gruppo indie rock Zen Circus.

Ma potremmo anche avvalerci della sintesi dialettica di Wolverine quando risponde a Charles e Magneto.
Ai banchieri amici del Financial Times e sudditi della Regina, la difficile scelta.

Commenti

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  • Laura Prosperini 20 Dicembre 2018

    Pazzesco che un farabutto usuraio che ha ridotti alla fame intere Nazioni speculando cinicamente, un meschino accumulatore di ricchezza ai danni degli altri possa godere di una così vasta visibilità

    si deve far qualcosa, magari in Italia, per riequilibrare tutta la Comunicazione

    accrescendola e nutrendola maggiormente della nostra, millenaria, Cultura Umanista.

    Il problema è Culturale e su questo campo si giocherà il futuro del Mondo.
    Laura.