Virginia Raggi assolta dall’accusa di falso per la nomina di Renato Marra

10 Nov 2018 15:50 - di Paolo Lami
Virginia

E’ stata assolta con formula piena dopo poco più di un’ora di camera di consiglio dall’accusa di falso dal giudice del Tribunale di Roma Roberto Ranazzi perché «il fatto non costituisce reato» il sindaco di Capitale, Virginia Raggi, in relazione alla nomina di Renato Marra, fratello del suo ex-braccio destro Raffaele, alla Direzione Turismo del Campidoglio.
Alla lettura della sentenza di assoluzione sono esplosi gli applausi in aula e la Raggi ha portato le mani al viso ed è scoppiata in lacrime correndo, poi, ad abbracciare gli avvocati e il marito. «Questa sentenza spazza via due anni di fango – ha detto la Raggi – andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia amata città, e per i tutti cittadini». Poi è andata a stringere la mano al giudice che l’ha assolta, Roberto Ranazzi, e al pubblico ministero Francesco Dall’Olio.
«Contro di me c’è stata una violenza inaudita e una ferocia giustificata – ha detto la Raggi – Non provo rancore nei confronti di nessuno. Mi auguro che quanto accaduto a me possa divenire una occasione per riflettere: il dibattito politico non deve trasformarsi in odio».

«Forza Virginia abbiamo sempre creduto in te», ha scritto su Facebook, a caldo , il vicepremier Cinque Stelle Di Maio accusando «i giornalisti infimi sciacalli» e i «media corrotti intellettualmente e moralmente» che esaltano la Lega e massacrano l’M5S».
«Attendiamo le motivazioni della sentenza – ha detto il pm Francesco Dall’Olio – per un eventuale appello».
Si chiude così, almeno per il momento, la scivolosa questione delle dimissioni che in molti chiedevano in caso di condanna, soprattutto il Pd che sperava di sfruttare la condanna della Raggi per riagguantare la poltrona di primo cittadino del Campidoglio dopo le disastrose gestioni del centrosinistra.
Il Blog dei Cinque Stelle ha ricordato proprio oggi, parlando del codice di comportamento del movimento, che «non esisteva alcun automatismo ma un meccanismo che comportava una valutazione caso per caso» nel caso di condanna replicando a quanto sostenuto dal procuratore aggiunto Paolo Ielo ieri nel corso della requisitoria e, cioè, che la Raggi ha mentito per evitare di essere espulsa secondo il codice etico.
Era stata la stessa Raggi a controbattere ieri a Ielo ricordando che «quell’articolo del codice etico, nella prassi, non è mai stato applicato fattivamente, tant’è vero che poi è stato modificato». Per Di Maio, invece, il nostro codice etico non cambia».

La Raggi, in trench beige, era arrivata stamattina accompagnata, per la prima volta da quando è iniziato il processo a suo carico, dal marito Andrea Severini.
In aula, oltre a tanti giornalisti, anche alcuni consiglieri M5S.
La Procura di Roma ieri aveva chiesto 10 mesi di reclusione per il sindaco Cinque Stelle.
La difesa della Raggi ha invece chiesto oggi l’assoluzione «con la formula più piena perché il fatto non sussiste».

E’ il 9 gennaio 2017 quando la Procura di Roma la indaga ufficialmente contestandole le nomine di Renato Marra, fratello di quello che allora è il suo braccio destro, da vicecapo della polizia municipale alla Direzione Turismo del Campidoglio, e quella di Salvatore Romeo che, da funzionario comunale, viene promosso a capo della segreteria con un aumento di stipendio che passa da 39mila euro l’anno a 120mila.

Le accuse per il sindaco Cinque Stelle sono falso e abuso d’ufficio per la vicenda Marra mentre per il caso Romeo c’è solo quella di abuso d’ufficio, in concorso con Romeo.

Secondo i pm, il sindaco Raggi avrebbe mentito all’Anticorruzione del Comune sulla nomina di Marra dicendo che nella nomina del fratello ebbe una funzione di «mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie di valutazioni e decisionali».

Il 2 febbraio 2017 la Raggi viene sottoposta a lungo interrogatorio per quasi 9 ore in un ufficio del Polo Tuscolano della polizia e respinge tutte le accuse.
Pochi giorni dopo è la volta di Salvatore Romeo, che in un altrettanto lungo interrogatorio terminato a notte fonda, è chiamato dai pm a chiarire la questione di alcune polizze vita da lui stipulate nel 2016 e intestate alla Raggi già prima dell’elezione a sindaco della Capitale.

Il 14 febbraio 2017 tocca a Raffaele Marra che, però, decide di non rispondere rimandando le sue dichiarazioni a fine indagine.
Passano così quattro mesi e il 20 giugno 2017 il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall’Olio depositano gli atti e per la Raggi si prospetta il rinvio a giudizio: per la nomina di Marra viene chiesta l’archiviazione dell’abuso di ufficio e resta solo l’accusa di falso mentre, per la nomina di Romeo, gli inquirenti procedono per abuso di ufficio.

Un mese più tardi il sindaco si sottopone a un nuovo interrogatorio dopo che le è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini. E conferma di aver agito con la massima correttezza. Passa l’estate e il 28 settembre 2017 la Procura di Roma chiede il rinvio a giudizio per Virginia Raggi per falso in merito alla nomina di Marra mentre chiede l’archiviazione per la vicenda Romeo.

Il 3 gennaio 2018 la sorpresa: Virginia Raggi chiede il giudizio immediato, una decisione che le permetterà di saltare l’udienza preliminare e di comparire in aula solo dopo il 4 marzo, data delle elezioni politiche.
Due giorni dopo il Tribunale di Roma accoglie la richiesta di giudizio immediato per il sindaco e fissa la prima udienza per il 21 giugno ma quel giorno la Raggiaccusata di falso documentale in merito alla nomina a Capo del dipartimento Turismo del Campidoglio di Renato Marra, fratello di Raffaele Marra, suo ex-braccio destro e accusato di abuso d’ufficio, non si farà vedere in aula.

Trascorrono sei mesi e il 18 luglio 2018, nel giorno del suo 40esimo compleanno, la Raggi, che questa volta è presente in aula, è costretta a inghiottire un rospo: la vice responsabile dell’Anticorruzione del Comune, Mariarosa Turchi, chiamata a testimoniare, la scarica parlando della segnalazione dell’Anac che, a sua volta, la funzionaria aveva ricevuto: «Alla luce, di quanto successo e della nota Anac, oggi devo rivedere la mia posizione – afferma Turchi – credo che sarebbe stato meglio evitare, da prima, qualunque tipo di implicazione possibile, con situazioni di possibili conflitti di interessi derivanti da eventuali poteri discrezionali, anche perché le cautele, sul fronte anticorruzione, non sono mai sufficienti».

Quanto alla replica del sindaco, che difese la nomina di Renato Marra definendo il ruolo del fratello Raffaele come di «mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali», la responsabile dell’Anticorruzione in Campidoglio sottolinea: «Non avevo motivo di dubitare delle parole della sindaca».

Sei giorni dopo viene chiamato a testimoniare Antonio De Santis, dal settembre del 2016 delegato del sindaco al Personale, che davanti al giudice sostiene che fu Raffaele Marra, allora capo del Personale, a fare il nome di suo fratello Renato tra coloro che erano in lizza per una promozione durante la riunione del 26 ottobre del 2016, mentre era ancora in corso la presentazione delle candidature dei dirigenti interessati all’interpello, i cui termini sarebbero scaduti dopo pochissime ore.
A quella riunione era presente anche l’allora assessore al commercio Adriano Meloni e Leonardo Costanzo, capo staff di Meloni.

E si arriva al 5 ottobre 2018 quando viene chiamato a testimoniare l’assessore capitolino allo Sport Daniele Frongia, fedelissimo della Raggi, che all’epoca dei fatti ricopriva l’incarico di vicesindaco e che in aula spiega di non aver mai parlato di Renato Marra con il sindaco prima della nomina: «a lei spettava la decisione finale in relazione alla nomina di qualsiasi dirigente – dice – Inevitabilmente finiva per accontentare qualcuno e scontentare altri».

Il 19 ottobre 2018 viene chiamata a testimoniare in aula Maurizia Quattrone, commissario capo della Squadra Mobile di Roma e responsabile dell’anticorruzione, la quale riferisce che in base alle indagini si è «potuto accertare che Raffaele Marra ha avuto un ruolo attivo e sostanziale e non meramente compilativo nella procedura di interpello, e non ha svolto un ruolo di mero passacarte» nella decisione sugli incarichi dirigenziali in Campidoglio.

Quando 6 giorni dopo tocca alla Raggi, interrogata in aula dal procuratore aggiunto Paolo Ielo che ha coordinato le indagini, la prima cittadina ribadisce che «nella nomina di Renato Marra, il fratello Raffaele non ha avuto alcun potere discrezionale. Si è limitato ad eseguire una mia direttiva nell’ambito della procedura di interpello per i nuovi dirigenti. Il suo fu un ruolo compilativo».
Una tesi che fa a pugni con le dichiarazioni di chi l’ha preceduta.
La Raggi riferisce anche «di avere saputo solo dopo», quando «sono stata interrogata in Procura, della riunione fra l’assessore Adriano Meloni e il responsabile del personale Antonio De Santis in cui Raffaele Marra fece il nome del fratello Renato. Devo dire però che Meloni si prese subito la paternità della scelta di Renato Marra e la difese anche dopo che il caso finì all’attenzione della stampa.

Siamo a ieri, alla vigilia del verdetto per la Raggi, il procuratore aggiunto Paolo Ielo chiede una condanna a 10 mesi con la concessione delle attenuanti generiche.
Per la Procura di Roma non ci sono dubbi: «Marra ci ha messo la manina ma la sindaca sapeva». E la Raggi avrebbe mentito sulla nomina di Renato Marra per due motivi: da un lato per proteggere il fratello Raffaele, capo del personale e “uomo-macchina” fondamentale per il funzionamento dell’amministrazione capitolina e dall’altro per non rischiare di essere indagata e quindi, secondo le regole del codice etico M5S in vigore nel 2016, doversi dimettere.
«Questo – concludono nella loro requisitoria il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto procuratore Francesco Dall’Olio – spiega il movente di quel falso».
Oggi l’inattesa decisione del Tribunale di Roma.
Subito il Pd è passato all’attacco. La moglie di Dario Franceschini, è tornata a chiedere, comunque le dimissioni di Virginia Raggi: «deve dimettersi perché non ha governato e quando lo ha fatto ha scelto soluzioni sbagliate. Lo stato indecoroso di questa città è sotto gli occhi di tutti». Detto da chi, come il Pd, è risultato complice dei peggiori disastri e, perfino, di Mafia Capitale con i suoi molti esponenti indagati, arrestati e condannati, fa un po’ ridere.

Commenti

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  • Mauro 13 Novembre 2018

    Ma se il fatto non costituisce reato perchè c’è stata una indagine cn persone impiegate per mesi? Vorrei sapere chi ha iniziato l’indagine se essa non è reato. Chi è quell’intelligente magistrato che ha avviato l’indagine? Lo si mandi a sbrigare altre mansioni per cui probabilmente è più preparato

  • Giuseppe Tolu 12 Novembre 2018

    Ah ecco! Il fatto non costituisce reato. Ma allora il fatto c’è stato, il tutto esiste, solo che non è reato; e solo dopo due anni si viene a sapere che questo fatto non è reato? Annamo bene! Proprio bene!

  • sergi 11 Novembre 2018

    Sindaca RAGGI ce l’ abbiamo fatta, avanti tutta ROMA Capitale degli ITALIANI.

  • paolo 11 Novembre 2018

    L’onestà alla fine paga sempre

  • Aldo Barbaro 11 Novembre 2018

    Il risultato era scontato!!!! La legge non è eguale per tutti o mi sbaglio ?

  • Giuseppe Forconi 11 Novembre 2018

    Qui’ invece e’ mancata coerenza, principalmente tra i giudici che forse non hanno capito una mazza della gravita’. Ora tutto rimarra’ come prima se non peggio per vendicarsi di non averla fatta dormire di notte. Ora da bravi cittadini romani, armatevi di scope e palette e pulite voi la citta’ se non volete essere sotterrati dalle immondizie.

  • Jolanda C. 10 Novembre 2018

    Tranquilli romani, se avevate temuto di veder sparire in questa povera “ROMA nostra forestiera” cassonetti debordanti, immondizie a tappeto, abbandono, degrado, violenza, pericolo, sopraffazione….potete adesso sapere che niente cambierà…se non in peggio.