Nanni Moretti torna girotondino: «L’Italia di oggi come il Cile di Pinochet»

30 Nov 2018 16:19 - di Romana Fabiani

«Sono arrivato in un Paese che era molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì. Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose peggiori del Cile». A parlare è l’esule cileno protagonista dell’ultima pellicola di Nanni Moretti, un documentario asciutto ma carico di testimonianze sempre sul filo della retorica anti-tirannica. Il regista di Ecco Bombo, quello di “Lei non conosce la Sacher Torte?”, ma anche del Caimano, torna a fare capoccella dopo anni di silenzio con un film sul golpe di Pinochet del lontano 1973.

Il morettiano Santiago, Italia, che ha chiuso il Torino Film Festival e sarà nelle sale il 6 dicembre, è un evidente stratagemma  per permettere all’attore-regista più amato dalla sinistra che fu di dare  i voti all’Italia di oggi, “affacciato” dalle altezze panoramiche della capitale cilena. Dop oaver tratteggiato  il triennio di Unidad Popular  e il golpe del ’73, Moretti dà il meglio di sé nell’ultimo capitolo della pellicola, quello del viaggio dell’esule immaginario in terra italiana. Si rincorrono interviste a operai, artigiani, imprenditori, registi perseguitati dal regime di Pinochet, professionisti, tutti quelli che hanno creduto nella riscatto popolare, nella magnifiche sorti e progressive del “salvatore Allende” per poi ritrovarsi tra torture, macerie e prigionie. Fin troppo scontata la metafora della delusione dell’esule cileno (che ritrova in Italia tutte le schifezze della sua terra) con quella dell’intelligenza progressista verso il “regime” gialloverde e il pericolo di un nuovo fascismo-sovranismo in salsa razzista. Non mancano filmati d’epoca a rendere scientificamente credibile il lavoro di Moretti, il più famoso dei comizi di Allende o il discorso di insediamento di Pinochet. Protagonisti della scena i due militari che si difendono autoproclamandosi vittime glissando chirurgicamente sulle migliaia di morti con sullo sfondo il regista engagé che professa orgoglioso la sua non neutralità. «Spero che non sia una strada senza ritorno», dice un pensoso Nanni che, come ai tempi d’oro dei girotondi, non risparmia frecciate alla sua malandata parte politica. «Che  si perde in battibecchi interni che non interessano a nessuno, quando in realtà ci sarebbe spazio per una forza razionale, seriamente riformista ed europeista». Antisalviniano? Ma neanche a chiederlo. «Finite le riprese, è diventato ministro dell’ Interno Matteo Salvini allora ho capito perché avevo girato quel film. L’ho capito a posteriori…».

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