La leggenda di Codreanu nella testimonianza di Montanelli ed Evola

30 Nov 2018 19:41 - di Antonio Pannullo

Esattamente 80 anni fa il rivoluzionario romeno Codreanu veniva assassinato nella sua cella dalle forze della reazione. Le testimonianze sono concordi: Corneliu Zelea Codreanu era un uomo affascinante, carismatico, che dava un’idea di innate onestà e lealtà. Un monaco guerriero, paragonabile forse solo ad Oliver Cromwell, che digiunava, scriveva, cantava, tutto preso nel suo impegno etico-politico di creare l’uomo nuovo. Il nome di Codreanu dirà poco ai giovani di oggi, anche in Romania, dove era nato, in Moldavia, nel 1899, ma per i giovani della destra italiana degli anni Settanta era una leggenda, grazie soprattutto alle edizioni di Ar, e ad altre case editrici coraggiose, che fecero conoscere i suoi scritti anche in Italia: il Capo di Cuib, Guardia di ferro, Diario dal carcere, raccontarono ai giovani italiani di destra i sogni e le speranze di questo personaggio sui generis, questo Codreanu, che finirà i suoi giorni a soli 38 anni, assassinato per ragioni politiche nel carcere di Tancabesti dove era stato richiuso insieme ad altri suoi legionari, camerati, diremmo noi, mediante strangolamento. Fascista, nazista, ma forse solo nazionalista romeno, comunque testimone di un misticismo politico e rivoluzionario. Chi lo ha conosciuto e intervistato, da Indro Montanelli a Julius Evola, ne parlano come di una persona eccezionale, profonda, ma assolutamente al di fuori della realtà: tanto che, dice Montanelli, non si curava né delle donne né del denaro, che la moglie gli sottraeva di nascosto per evitare che lo donasse a chi ne aveva bisogno. Non è qui il caso di raccontare la sua biografia, perché su Codreanu oggi vi sono innumerevoli scritti, ma forse è opportiuno riproporre alcuen consideraioni che Evola fece su di lui sul giornale Il Regime Fascista nel 1938, in occasione di una visita del filosofo a Bucarest. Il capo delle Guardie di Ferro, racconta Evola, abitava nella Casa Verde, un edificio fuori Bucarest in stile romeno, costruito dagli stessi legionari per il loro capo, come una sorta di rito. Ecco il primo impatto di Evola con Codreanu: “Ci viene incontro un giovane alto e slanciato, in vestito sportivo, con un volto aperto, il quale dà immediatamente una impressione di nobiltà, di forza e di lealtà. E’ appunto Cornelio Codreanu, capo della Guardia di Ferro. Mentre i suoi occhi grigio-azzurri esprimono la durezza e la fredda volontà propria ai Capi, nell’insieme dell’espressione vi è simultaneamente una singolare nota di idealità, di interiorità, di forza, di umana comprensione. Anche il suo modo di conversare è caratteristico: prima di rispondere, egli sembra assorbirsi, allontanarsi, poi, ad un tratto, comincia a parlare, esprimendosi con precisione quasi geometrica, in frasi bene articolate ed organiche. “Dopo tutta una falange di giornalisti, di ogni nazione e colore, che altro non sapevano rivolgermi se non domande della politica più legata al momento, è la prima volta, e con soddisfazione” dice Codreanu “che viene da me qualcuno che si interessa, prima di tutto, all’anima, al nucleo spirituale del mio movimento. Per quei giornalisti avevo trovato una formula per soddisfarli e per dire poco più che nulla, cioè: nazionalismo costruttivo”. Codreanu conclude così l’intervista a Julius Evola: ” Ma, in ogni caso, resta sempre una apposizione di principio: vi sono da un lato coloro che conoscono solo la “vita” e che quindi non cercano che la prosperità, la ricchezza, il benessere, l’opulenza; dall’altro lato vi sono coloro che aspirano a qualcosa più che la vita, alla gloria e alla vittoria in una lotta interiore quanto esteriore. Le Guardie di Ferro appartengono a questa seconda schiera. E il loro ascetismo guerriero si completa con una ultima norma: col voto di povertà a cui è tenuta l’élite dei capi del movimento, con i precetti di rinuncia al lusso, ai vuoti divertimenti, agli svaghi cosiddetti mondani, insomma con l’invito ad un vero cambiamento di vita che noi facciamo ad ogni legionario”.

“Codreanu era di una bellezza triste”

Dello stesso segno la descrizione dello storico ebreo ungherese  Nagy-Talavera (deportato ad Auschwitz nel 1944 e, dopo la guerra, rinchiuso per sette anni nei gulag dei comunisti sovietici): «Improvvisamente nella folla intervenne il silenzio. Un uomo alto, di una bellezza triste, vestito del bianco costume dei contadini romeni, entrò a cavallo nel cimitero. Si fermò vicino a me, e io non potei vedere nulla di mostruoso e di malvagio in lui. Al contrario. Il suo sorriso infantile e sincero si irradiava sopra la folla miserabile, ed egli sembrava essere misteriosamente lontano da essa. Carisma è una parola inadeguata per definire la strana forza che emanava da quell’uomo. E così, in silenzio, egli restò in mezzo alla folla. Non aveva nessun bisogno di parlare. Il suo silenzio era eloquente; egli sembrava esser più forte di noi, più forte dell’ordine del prefetto che gli vietava di parlare. In più di un quarto di secolo io non ho mai dimenticato il mio incontro con Corneliu Zelea Codreanu”, scrisse Nagy-Talavera, che non aveva assolutamente alcun motivo per simpatizzare con Codreanu, anzi. Montanelli da parte sua ne diede questo ritratto: “Era sobrio fino all’astinenza. Digiunava il martedì e il venerdì fino alle cinque del pomeriggio. Non si curava delle donne. E anche per questo, forse, non si curava dei suoi vestiti. Non aveva nessuna idea del denaro. Sua moglie doveva sottrargli di nascosto il denaro, quando ce n’era, per impedirgli di farne dono ai poveri e agli amici, che erano poveri anch’essi”. Insomma, un quadro ben diverso da quello di feroce nazista che i soliti storiografi antifascisti hanno voluto cucirgli addosso.

L’atroce fine di Codreanu in carcere

Codreanu, in ogni evidenza, era un personaggio scomodo sia per i comunisti sia per i reazionari. Per questo fu assassinato. Dopo le elezioni del dicembre 1937 Codreanu e i suoi legionari, terzo partito della Romania, erano diventati popolarissimi nel Paese, con grande sorpresa e odio dell’establishment. Nel maggio 1938 Codreanu e altri suoi 13 legionari furono processati e condannati a 10 anni di lavori forzati per “tradimento”. La notte del 30 novembre, il “capitano” e i suoi legionari furono strangolati dai gendarmi, i loro corpi bruciati con il vetriolo e gettati in una fossa comune. Bisognerà attendere il 1990 prima che gli storici possano riprendere le ricerche sul destino dei legionari. Gli storici conclusero che il successo di Codreanu e del suo movimento fu quello che lo condannò a morte: la Casa reale e la classe politica romena erano letterlamente terrorizzati dal consenso che la Guardia di Ferro stava riscuotendo nel Paese, e anche la simpatia di Codreanu per la Germania non lo aiutò. Insomma, si temeva che in capo a pochi mesi Codreanu sarebbe andato al governo. E questo la reazione non lo poteva permettere. Nei mesi successivi vennero uccisi dalla polizia altri 1200 legionari di Codreanu. I funerali del Capitano saranno celebrati solo nel 1940, ma ormai era tardi per il suo sogno politico.

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