Stupri di guerra e orrori dell’Isis, a un congolese e a un’irachena il Nobel per la Pace (video)

5 Ott 2018 12:45 - di Alessandra Danieli

Il premio Nobel per la pace 2018 è stato assegnato al ginecologo congolese Denis Mukwege e a Nadia Murad, vittima yazida dei crimini commessi dall’Isis in Iraq. Brutalizzata in prigonia, Nadia è diventata il simbolo del genocidio della sua comunità come testimonia la sua autobiografia L’Utima ragazza edito da Mondadori.

Il Nobel per la pace agli eroi contro gli stupri di guerra

Nominato molte volte in passato, Mukwege ha trascorso due decenni aiutando le donne a reagire alle violenze e a riprendersi dai traumi degli stupri nel suo Paese, la Repubblica democratica del Congo orientale devastata dalla guerra. Lo chiamano “l’uomo che ripara le donne”: dal 1998  ha curato quarantamila vittime di atroci stupri, violate dalla follia della guerra che ufficialmente è terminata nel 2002 ma che prosegue come lotta efferata tra l’esercito regolare e gruppi armati che cercano di controllare le ricchezze immens del Paese. «Lo stupro è una vera e propria strategia», ha spiegato Mukwege, «le violenze sessuali su donne, per lo più giovanissime, sono perpetrate in pubblico, si tratta di riti di violenza collettiva che distruggono sistematicamente le comunità». Nadia Murad è diventata un’attivista dopo essere stata rapita dai militanti dell’Isis nel 2014  e tenuta come una schiava del sesso mentre quasi tutta la sua famiglia è stata uccisa. Venticinquenne di etnia yazida, dopo essere riuscita a fuggire dalla schiavitù dell’Isis,  è diventata ambasciatrice dell’Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani e ha vinto il premio Sakharov nel 2016.

La coppia (scelta all’interno di una lista di 216 persone e 115 organizzazioni)  è stata premiata per «gli sforzi volti a mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma da guerra e di conflitto armato» spiega il Comitato norvegese per il Nobel, sottolineando come Murad abbia dimostrato un coraggio fuori del comune. «È  vittima di crimini di guerra. Ha rifiutato di accettare i codici sociali che impongono alle donne di rimanere in silenzio e vergognarsi degli abusi a cui sono state sottoposte. Ha mostrato un coraggio non comune nel raccontare le sue stesse sofferenze e nel parlare per conto di altre vittime». Mukwege  – si legge nelle motivazioni – «è di gran lunga il simbolo più unificante, a livello nazionale e internazionale, della lotta per mettere fine alla violenza sessuale nelle guerre e nei conflitti armati».

 

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