Processo 2 agosto, Fiore al banco dei testimoni: “Tp fu un’organizzazione politica, non criminale”

31 Ott 2018 19:30 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Al processo per la strage di Bologna, molto atteso dalla stampa e dalle parti civili, si è presentato al banco dei testimoni Roberto Fiore. Com’era ampiamente prevedibile, il leader di Forza nuova si è speso lungamente nella difesa della storia politica e ideale di Terza posizione – movimento a cui diede vita insieme a Gabriele Adinolfi e Giuseppe Dimitri -, aggirando abilmente gli ostacoli e le trappole sparse qua e là dagli avvocati di parte civile, i quali avevano la chiara intenzione di sfruttare l’occasione di una presenza così mediaticamente forte per allargare ulteriormente il già vasto dibattimento in corso da mesi. A dir la verità, il tentativo di introdurre e sottoporre ai giudici popolari della Corte d’Assise nuove suggestioni o di riproporre vecchi teoremi è stato più volte stoppato, prima che da altri, da un’inflessibile conduzione dell’udienza da parte del presidente Michele Leoni, ancor più preciso e drastico del solito, nell’impedire “divagazioni” inutili.

Tornando a Fiore, la sua deposizione è stata caratterizzata dall’estrema calma e sicurezza con cui ha affrontato le domande più insidiose, anche quando la memoria, sollecitata su particolari spesso secondari di quarant’anni or sono, non lo poteva sostenere più di tanto. In particolare, dev’essere rilevato come non si sia mai avvalso della facoltà di non rispondere – che pure avrebbe potuto invocare diverse volte -, dimostrando una volta di più di non aver nulla da nascondere, in merito a queste vicende. Tra le tante cose ascoltate, ai fini del procedimento a carico di Gilberto Cavallini, è stata significativa la ricostruzione dell’iter con cui, alle porte dell’autunno 1980, Fiore e Adinolfi si sarebbero procurati i passaporti falsi per espatriare, dopo l’emissione dei mandati di cattura a fine agosto che travolsero a Roma l’intera Tp. Fiore ha confermato di essere sbarcato a Londra con un passaporto procuratogli da Walter Spedicato, ma ha anche precisato che, per ottenerlo, aveva chiesto aiuto e fornito sue fotografie anche a Giorgio Vale, il quale aveva dato loro un documento non spendibile, in quanto realizzato maldestramente. Può sembrare un particolare di poco peso, ma in realtà suona come una precisa conferma di quanto sostenuto altrove da Giusta Fioravanti e Francesca Mambro a proposito dell’intricata vicenda che porta al ruolo di Massimo Sparti. In via generale, il segretario di Fn ha protestato – ricordando come sentenze di tribunale, pur nel condannare Tp come associazione sovversiva, hanno attestato come non siano mai state compiute rapine o altre azioni di carattere predatorio o terroristico – l’assoluta dimensione politica dell’organizzazione giovanile romana, negando decisamente l’esistenza di una struttura “occulta” e “militare” dedita alle rapine per l’autofinanziamento. “Ho lavorato, com’è facilmente verificabile, per mesi a Londra in mansioni umili”, ha sottolineato Fiore, per chiarire come abbia potuto mantenersi in esilio e all’estero. Per altro, ricordando come certe illazioni su Terza posizione non fossero altro che pregiudizi stratificatisi dopo le prime dichiarazioni da arrestato di Giusta Fioravanti – dichiarazioni richiamate anche oggi dalle parti civili -, Fiore ha evidenziato alla Corte d’Assise come lo stesso Fioravanti, in successivi interrogatori, abbia smentito queste sue prime parole su Tp.

Altra circostanza significativa su cui ha reso testimonianza Fiore, rivendicando l’atteggiamento assunto allora, pur costituendo un reato, è stata quella relativa al soccorso prestato a Luigi Ciavardini dopo i fatti del Giulio Cesare: “Mi sono comportato con lui come farebbe un padre con un figlio che ha commesso qualcosa di grave e che, da una parte, cerca di fargli capire l’errore, ma, dall’altra, tenta di preservarlo dalle conseguenze peggiori di quel che ha fatto”. Su un punto, infine, Fiore è ritornato più volte, anche con un comprensibile piglio polemico: “Io sono parte lesa nella storia processuale del 2 agosto, perché fui vittima insieme all’intera Terza posizione, del depistaggio organizzato dai servizi segreti e dalla P2 di Licio Gelli. E non lo dico io, lo dice la sentenza che condanna quel depistaggio. Eppure, quando questo episodio viene citato – e viene citato spesso, se non sempre, quando si parla della strage di Bologna – si evita sempre, da parte della stampa e non solo, di ricordare che io fui la vittima di quel depistaggio”.

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