Giovane calciatore ucciso a Napoli. L’omicida: «Ho rovinato la sua vita e la mia»

7 Ott 2018 11:36 - di Milena De Sanctis

Moribondo è stato lasciato davanti al pronto soccorso l’ospedale di Napoli Cardarelli. Pochi minuti dopo Raffaele Perinelli, calciatore dilettante,  è morto per la gravità delle ferite riportate, in particolare all’emitorace sinistro. Il calciatore ucciso aveva 21 anni ed era figlio di Giuseppe, ex esponente del clan Lo Russo ucciso in un agguato nel 1999. Il giovane è stato accoltellato nel corso di una rissa nel quartiere Miano. Qualche ora dopo, l’uomo che lo ha accoltellato si è costituito.

Giovane calciatore ucciso, la confessione

Un ambulante 31enne si è presentato ai carabinieri di Casoria assistito da un avvocato e ha confessato di aver colpito con una coltellata al petto il giovane, al culmine di una lite.  Come riporta Leggo, ha poi sostenuto nel corso della notte un lungo interrogatorio del pm Anna Frasca: «Ho rovinato la vita di quel ragazzo, ma anche la mia. Tra noi due c’era stato un litigio appena una settimana fa, ma per banali motivi, all’esterno di un locale notturno. Sette giorni fa – ha spiegato – gli avevo consigliato di non intromettersi in una lite e ci eravamo azzuffati. Abitavamo nello stesso quartiere e siamo venuti alle mani».

Il giovane giocava a calcio

Perinelli abitava in via Caprera, nel quartiere Miano e giocava a calcio come dilettante nel ruolo di terzino sinistro. Stava cercando di essere ingaggiato da una squadra, dopo aver indossato le maglie del Sant’Agnello, del Gragnano e della Turris e aver quindi giocato in serie D.  Il padre era stato ammazzato dal boss di Donnaregina Giuseppe Misso, rimasto vedovo dopo che la moglie era stata freddata a colpi di fucile nella strage di Acerra del ’92. Cinque furono i delitti per vendicare la moglie, uno fu proprio quello di Giuseppe Perinelli. Il 21enne aveva solo due anni quando il padre è stato ucciso e si era sempre tenuto lontano dall’ambiente malavitoso.

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