Drammatica udienza per il raid al Roxy bar. I testimoni hanno paura e Casamonica urla…

16 Ott 2018 18:25 - di Redazione

Da un lato una donna forte e coraggiosa che decide di denunciare e non cedere alle intimidazioni, dall’altro suo marito, che alla domanda se sa perché i Casamonica sono famosi alla Romanina, inizia a tremare e non riesce a dire una parola. E’ il giorno dei testimoni al processo per il raid compiuto il primo aprile scorso al Roxy Bar, un caffè in zona Romanina a Roma, ai danni del titolare e di una giovane disabile. Sul banco degli imputati c’è Antonio Casamonica, accusato di lesioni e violenza privata aggravate dal metodo mafioso. In aula, alla sesta sezione penale di piazzale Clodio, sono chiamati oggi a testimoniare anche la titolare del bar, Roxana Roman e il marito Marian. L’udienza è segnata dalla parola “paura”. Marian, che durante il raid venne aggredito insieme con una donna disabile, appare molto intimorito. Quando il pm Giovanni Musarò, leggendo passi dei verbali, gli chiede come mai il nome dei Casamonica è conosciuto nel quartiere, l’uomo resta a testa bassa, agitato e “tremante”, come fa mettere a verbale il giudice, non riesce a parlare e rimane in silenzio per una ventina di secondi. Lo stesso succede quando la stessa domanda gli viene fatta dal difensore di Casamonica. Di nuovo l’uomo resta a testa bassa e in silenzio; un lungo silenzio che potrebbe segnare un punto a favore dell’accusa, che punta sul riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso. L’uomo, marito della titolare del bar, ricostruisce i momenti del raid in cui è stato aggredito a calci e pugni da due persone della famiglia Di Silvio, legata a quella dei Casamonica, e ricorda che prima di andare via gli avevano detto: “Questo bar lo devi chiudere,  non ti scordare, questa è zona nostra” minacciandolo di morte. “Avevo paura”, ricorda Marian.

Il bar effettivamente rimase chiuso due giorni dopo i fatti e se fu riaperto fu solo per la determinazione della moglie di Marian, titolare del bar e chiamata anche lei oggi sul banco dei testimoni. E’ lei che decide subito di denunciare alla Polizia quanto successo. “Io capisco la paura ma non l’accetto perché non voglio che i miei figli crescano nella rassegnazione in cui vivono gli abitanti della Romanina – ha detto la donna rispondendo alle domande del pm Musarò – Lì nessuno denuncia i Casamonica e i Di Silvio per paura di ritorsioni. Tante persone, dopo che i responsabili vennero arrestati, sono venute da me mi hanno detto ‘hai fatto bene a denunciare’ ma venivano tutti vicino e me lo dicevano a voce bassa”. Ora “un po’ di paura c’è”, ammette la donna dopo aver “capito con chi ho a che fare”. Parlando di Casamonica spiega che spesso passava al bar per le sigarette mostrando “atteggiamenti da spaccone, ma non creava problemi come i Di Silvio. Loro erano fastidiosi. Una volta se la sono presa con un vecchietto”. Nel raid, Roxana dice di aver avuto danni “materiali per 6 mila euro ma anche di immagine per clientela”.

L’udienza nei confronti di Antonio Casamonica ha visto protagonista anche un’altra donna, Simona R., la disabile presa a cinghiate. Drammatica la sua testimonianza: “Ho paura di uscire da casa, i familiari dei Casamonica hanno preso informazioni sul mio indirizzo”, ha detto tra l’altro,  ricostruendo con molta sofferenza quei momenti di paura durante la proiezione del video delle telecamere di sorveglianza del bar: “Nessuno si è opposto – ha detto – nessuno dei presenti ha fatto nulla mentre mi aggredivano”. Dopo l’aggressione la donna ebbe 27 giorni di prognosi per le percosse subite, che le hanno causato anche un versamento polmonare. Lo stesso Casamonica, durante la testimonianza l’ha interrotta urlando: “Di’ che ti ho aiutato”, cercando di interromperla, subito richiamato dal giudice.

Condanne a 6 anni, a 5 anni e 8 mesi e a 2 anni e 8 mesi sono state chieste dalla Procura di Roma per Alfredo Di Silvio, il fratello Vincenzo e il nonno dei due per il raid. I tre avevano scelto il rito abbreviato.

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