Via D’Amelio, i mafiosi parte civile contro lo Stato per gli errori dei magistrati

20 Set 2018 15:29 - di Paolo Lami

I boss di Cosa Nostra, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Natale Gambino, cioè alcuni dei mafiosi accusati e condannati ingiustamente per la strage di via D’Amelio dove morì Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, hanno avanzato la richiesta di costituirsi parte civile all’udienza preliminare sul depistaggio delle indagini che coinvolge un funzionario di polizia, Mario Bo e due ex-agenti, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati dalla Procura di aver imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino. Non ci sarà, invece, alla sbarra,  l’ex-capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che coordinava il gruppo di indagine sulle stragi del ’92 e che è morto nel 2002.

Il gup del Tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, all’udienza preliminare di oggi ha ammesso come parti civili i familiari del magistrato assassinato in via D’Amelio: Fiammetta, Lucia e Manfredi, nonché Salvatore, fratello del magistrato, e i figli di Adele, l’altra sorella di Paolo Borsellino.

Per la Procura i poliziotti avrebbero creato ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino, arrestato il 29 settembre 1992, ma i tre negano le accuse.

I mafiosi che hanno avanzato la richiesta di costituirsi parte civile hanno pure citato in giudizio, come responsabile civile, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno: a loro chiedono un risarcimento di 50 milioni di euro.

Proprio un anno fa Mattarella aveva sentenziato davanti al Csm: «Troppe sono state le incertezze e gli errori e tanti gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto».

Gli stessi magistrati si spaccarono sulla credibilità del pentito Scarantino che si era autoaccusato, sei anni dopo l’arresto, di aver partecipato all’attentato di via D’Amelio contro il giudice Borsellino. Nel corso di un’audizione davanti al Csm il magistrato Nino Di Matteo si è difeso sostenendo di essere entrato nelle indagini cinque mesi dopo che erano iniziate e ha gettato la croce sulla collega Anna Maria Palma: «Io con il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana non c’entro. Il depistaggio è cominciato un minuto dopo l’attentato di via D’Amelio con il furto dell’agenda rossa (di Paolo Borsellino, ndr). Io invece sono entrato nelle indagini cinque mesi dopo».

«Sono stati buttati via 25 anni costruendo falsi pentiti con lusinghe e con torture», ha accusato senza mezzi termini Fiammetta Borsellino davanti alla Commissione parlamentare antimafia.

«Io ho cominciato a occuparmi delle stragi nel novembre 1994 – rilancia Di Matteo – E Scarantino collaborava già da cinque mesi. Non ho mai discusso con i colleghi che l’avevano interrogato prima (la pm Anna Maria Palma, ndr) e che non ho visto convocati qui. Non seppi dei dubbi espressi dalla dottoressa Boccassini e dal dottor Saieva nell’ottobre ’94. Io ho partecipato al processo Borsellino bis solo in dibattimento, utilizzando le dichiarazioni di Scarantino in minima parte e nel Borsellino ter non l’ho nemmeno citato come testimone».
Certo appare incredibile che i due colleghi che seguivano la vicenda, Nino Di Matteo e Anna Maria Palma, non si siano mai confrontati su questo questo punto, secondo quello che dice il pm al Csm.

L’avvocato Nino Caleca, difensore del dirigente di polizia alla sbarra, Mario Bo, che ora lavora a Gorizia, ricorda che la vicenda era stata archivata dal gip di Caltanissetta su richiesta della Procura e che le conclusioni erano state quelle di un «eccesso investigativo» ma non un depistaggio. Questo accadeva 2 anni fa. Mario Bo e altri due funzionari erano stati archiviati. Poi, con la riapertura delle indagini sulle medesime dichiarazioni, Mario Bo e due ex-agenti, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, sono stati richiamati a rispondere del depistaggio attuato da Scarantino  il quale aveva sostenuto, a un certo punto, di essere stato imbeccato dagli uomini della polizia. E aveva depistato le indagini su via D’Amelio.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *