In prigione con le catene: diario dal carcere di uno scrittore fascista non pentito

19 Lug 2018 10:43 - di Riccardo Arbusti

Sarebbe morto tra una mezz’ora perché aveva avuto delle convinzioni, perché aveva cercato di battersi. Inerte, indifferente, come trentanove milioni e mezzo di cittadini, avrebbe cinquant’anni di vita davanti a lui...”. Così Lucien Rebatet, uno degli scrittori maledetti del “fascismo immenso e rosso” descritto da Robert Brasillach, imprigionato perché accusato di tradimento per i suoi scritti sul giornale Je suis partout, assiste dalla sua cella alla passeggiata verso la morte di un condannato per le sue idee, vittima dell’epurazione che a partire dal 1945 si è abbattuta sui collaborazionisti schierati con Vichy. Un’epurazione per la quale lo scrittore Jean Paulhan disse di provare vergogna pur essendo stato un resistente della prima ora.

Condannato a morte il 23 novembre 1946 , Rebatet venne graziato per intercessione di intellettuali e scrittori (gli stessi che per Brasillach non ebbero successo) come Camus, Colette, Malraux e Mauriac. Uscì dopo cinque anni di lavori forzati e in carcere portò a compimento la sua opera più poderosa, mai tradotta in italiano, Les deux étendards. La prigione, il processo, l’attesa della condanna a morte vennero raccontati da Rebatet nel breve ma denso Non si fucila di domenica, oggi ripubblicato da Mimesis (pp.62, euro 6) con un’introduzione di Simone Paliaga. Suo il libro più venduto negli anni di Vichy, Les Décombres, così descritto da un’entusiasta Brasillach: “Un oceano di un migliaio di pagine, violente, smisurate e anche farneticanti, una somma dei giorni d’anteguerra e della guerra. Alludo al manoscritto del prossimo libro di Lucien Rebatet, che splenderà sui mesi a venire come un cupo sole”. Uno dei libri grandi e terribili – la definizione è di Giampiero Mughini – nel testimoniare il tempo della tragedia. Un libro che testimoniava anche come Rebatet sapesse “intingere la penna nell’odio”, rivolgendola come un’arma contro i responsabili della decadenza della Francia, non arretrando dinanzi a un violento antisemitismo. Il libro è stato tradotto dalla casa editrice Settimo Sigillo con il titolo Memorie di un fascista. 1941-1947 (1993, edizione curata da Moreno Marchi).

Amante di Spengler e Nietzsche, affascinato dal tema della decadenza, partecipò con Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, Abel Bonnard, Louis-Ferdinand Céline, Alphonse De Chateaubriant a quel movimento intellettuale che sperava in una rigenerazione della Francia attraverso l’adesione alle idee del fascismo e che fu definito “collaborazionismo”.

Ma è il romanzo Les deux étendards quello in cui Rebatet rivela meglio la sua visione del mondo, un romanzo che – ha scritto  Massimo Raffaeli – “nelle lettere francesi ha un posto d’onore fra il Voyage di Céline e la Recherche di Proust… I due stendardi evocati nell’insegna del romanzo che si sarebbe dovuto intitolare prima La teologia lionese e poi Né Dio né Diavolo, rinviano alle estremità inconciliabili, ideologiche nonché esistenziali, del Secolo Breve”.  Un romanzo che attende ancora i suoi lettori, dentro e fuori la Francia.

 

Commenti

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  • Laura Prosperini 19 Luglio 2018

    trovo istruttivo divulgare gli artisti fascisti (non solo italiani) e sconosciuti.
    Dobbiamo cercare di combattere l’orrenda damnatio memoriae avvenuta, abbattutasi su tutto il Fascismo
    inteso anche come ideali, movimento, aspirazioni e, perchè no, ottime 8ed a volte ancora insuperate!) realizzazioni.