Migranti, c’è pure la banda dei Caf: permessi di soggiorno e contributi falsi

20 Lug 2018 16:19 - di Natalia Delfino

Ci sono anche un poliziotto dell’ufficio immigrazione e un componente della Consulta comunale delle culture tra le dieci persone raggiunte da provvedimenti di custodia cautelare a Palermo per un giro di falsi permessi di soggiorno emessi in cambio di denaro. Le indagini, durate 2 anni e condotte da polizia e guardia di finanza, hanno portato alla luce un’articolata rete di professionisti che procuravano a migranti i permessi di soggiorno o il loro rinnovo attraverso false attestazioni. Le accuse vanno dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina alla violazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

«Quanto scoperto dalla Procura di Palermo in merito alle false dichiarazioni per ottenere i permessi di soggiorno è la prova che attorno ai migranti si è sviluppato un giro d’affari che non conosce limiti e va oltre il circuito dell’accoglienza», ha commentato la parlamentare di Fratelli d’Italia, Carolina Varchi, sottolineando che «invece che di cultura dell’integrazione sarebbe più opportuno parlare di cultura della speculazione di chi non esita a lucrare illecitamente sulla disperazione altrui. Il fenomeno migratorio ha bisogno più che mai adesso di penetranti controlli per stanare gli speculatori».

Coinvolti nell’operazione anche commercialisti, titolari di Centri di assistenza fiscale (Caf) e altre persone che hanno inoltrato, nell’ultimo triennio, numerosissime istanze all’Ufficio immigrazione della Questura di Palermo per il rinnovo o l’ottenimento del permesso di soggiorno di soggetti extracomunitari, supportandole con false dichiarazioni fiscali e assunzioni fittizie. «Gli immigrati, provenienti anche da regioni differenti ed in alcuni casi effettivamente dimoranti in territorio estero, attraverso un passaparola all’interno delle singole etnie, giungevano a Palermo ed esternavano ai ”professionisti contabili” la loro necessità di avere una dichiarazione dei redditi ad hoc per il raggiungimento della soglia minima di reddito prevista per proseguire il loro soggiorno in Italia», hanno spiegato gli inquirenti, chiarendo che «in alcuni casi, addirittura, il ”reddito buono” veniva richiesto telefonicamente».

Il fenomeno aveva assunto una tale dimensione «da allarmare i poliziotti dell’Ufficio immigrazione che, allertati i colleghi della Squadra mobile e in piena sinergia con la guardia di finanza, hanno dato avvio a controlli approfonditi sulle dichiarazioni dei redditi trasmesse determinando la revoca di gran parte delle richieste avanzate attraverso la fitta rete di professionisti ed ”addetti ai lavori” che, dietro il pagamento di compensi che raggiungevano anche i mille euro, offrivano tutta una gamma di servizi, finalizzati essenzialmente all’ottenimento dei relativi permessi». Il metodo consisteva in alcuni casi nell’attivazione di partite Iva per ditte individuali per soggetti extracomunitari per la maggior parte censiti come venditori ambulanti, in altri casi venivano fatti risultare fittiziamente assunti come collaboratori domestici dagli stessi professionisti o da soggetti compiacenti.

Sono numerosi gli imprenditori extra-comunitari fasulli allo stato attuale censiti dai finanzieri e dai poliziotti, che, oltre a soggiornare illegalmente nel territorio nazionale si ritrovano anche con i contributi previdenziali versati tali solo sulla carta visto che il loro versamento avveniva mediante compensazione di crediti d’imposta creati ad hoc nelle false dichiarazioni fiscali. Sono in corso ulteriori accertamenti volti a quantificare i guadagni illegalmente conseguiti dai professionisti e dai vari Caf. «Il fenomeno criminale, accertato già dal 2015, va comunque riferito a periodi anche pregressi e da ritenersi ad oggi ancora perdurante con ricadute – hanno spiegato ancora gli investigatori – sia in termini di danno al bilancio nazionale che per la pubblica sicurezza rappresentando un metodo sicuro per consentire a soggetti extracomunitari di poter permanere illegalmente sul territorio nazionale».

Agli arresti domiciliari sono finiti l’agente Salvatore Giacobbe, che presta servizio presso l’Ufficio immigrati della Questura ed è il marito di una donna che ha un Caf nel trapanese, Gesualdo Meli, Antonino Di Majo, Gianfranco Ficano, Francesco Noto, Antonino Pisciotta, Paola Giannetto, Antonino Russo, Marco Celani. Divieto di dimora a Palermo, invece, per Thayaraj Arulnesan, membro della Consulta delle culture del Comune di Palermo e titolare di un Caf. L’uomo ha l’obbligo di presentazione all’ufficio immigrazione della questura per tre giorni a settimana.

 

Commenti

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  • Pino1° 21 Luglio 2018

    C.A.F. ? = nel senso di Comitato Affari Fuorilegge ? Truffa ai danni dello stato con l’aggravante della mission! Incriminare su tutto altrimenti qualche toghina dal cuore debole non gli da i quattro anni occorrenti per ficcarli dentro! Espellere dal paese, allontanamento a vita da pubblici uffici ecc. I supervisori erano ciechi e stupidi oppure solamente corrotti consapevoli ! Tengono Famiglia ?
    Con buona pace della Geniale boldrina e del temerario Boeri, ai due BoBo
    questi ‘prelevavano’ mica contribuivano!
    Gli organizzatori, che facciamo gli diamo la pensione?