Le dimissioni di Boris Johnson possibile preludio a un cambio di leadership in Uk

11 Lug 2018 18:20 - di Bepi Pezzulli

Riceviamo da Bepi Pezzulli e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Gli eventi ricordano il fatale 22 novembre 1990 che segnò la fine del III governo Thatcher per mano di Geoffrey Howe

Ci risiamo. Di nuovo le dimissioni fatali. Questo deve aver pensato Boris Johnson prima di lasciare la guida del Foreign Office, in reazione al piano Brexit presentato dalla premier Theresa May ai ministri dell’ufficio di gabinetto in una tesa riunione presso la residenza di campagna ai Chequers. Gli eventi ricordano il drammatico 22 novembre 1990, quando Lady Margaret Thatcher, presenziando a un vertice europeo a Versailles, chiuse la sua carriera politica, dopo l’insanabile frattura verificatasi nel partito conservatore in seguito alle dimissioni del ministro degli esteri Geoffrey Howe. Allora, il Foreign Secretary reagì all’intransigenza della “Lady di ferro” nei preliminari della conferenza che sanciva nel termine di un anno il trattato di Maastricht. Oggi, il Foreign Secretary reagisce all’arrendevolezza della “Lady di latta” nel negoziare, a suo detto, una “Brino” (Brexit-in-name-only). Nel separarsi da Theresa May, per far posto a Dominic Raab, l’ex sindaco di Londra ha lanciato un torpedo in direzione 10 Downing Street dichiarando che “la Ppemier è lacerata da inutili dubbi”. Nella lettera di dimissioni, il leader carismatico della frangia Euroscettica del partito conservatore ha criticato il piano May, etichettandolo una “semi-Brexit”, capace di precipitare il Paese allo status di colonia. Secondo Boris Johnson, la Premier, oltre ad aver posposto decisioni cruciali, soprattutto quella di aver pronto un piano B in caso di uscita senza accordo, ha apparecchiato una proposta che lascia parti cruciali dell’economia ancora bloccate nel sistema comunitario, ma senza controllo britannico sullo stesso.  Parole ancora più forti quelle pronunciate da Jacob Rees-Mogg, il leader dell’European Research Group, il quale ha asserito che “il piano May mette l’Uk nella sciagurata posizione di ritenere necessario seguire la normativa europea proprio quando l’Uk non ha più strumenti per influenzare la legislazione comunitaria”.  Ma ad essere al centro del fuoco amico è l’intera tattica negoziale di Theresa May. Secondo il Comitato 1922, il gruppo dei parlamentari conservatori alla Camera dei Comuni, la premier ha “esposto il suo piano quale mossa di apertura e risultato finale al tempo stesso, senza aver neanche atteso la controfferta”. Per Graham Brady, il leader degli “uomini in grigio” a Westminster, il piano May “evoca lo spettro di dover in seguito fare ulteriori aperture sull’immigrazione e contribuzioni al bilancio comunitario in cambio dell’accesso al mercato unico”. Le dimissioni hanno insomma aperto il vaso di Pandora. Gli Euroscettici si sono impegnati a intraprendere tutte le iniziative politiche necessarie per sabotare il piano May. Subito dopo il drammatico faccia a faccia tra la Premier e i gruppi parlamentari, il capogruppo Gavin Williamson ha lasciato trapelare che i ministri del Governo sono pronti a dimettersi uno ad uno per forzare Theresa May a stracciare il suo piano. Per tutta risposta Theresa May ha chiesto ai gruppi di sostenere la sua proposta, provocando le dimissioni di altri 2 membri del Governo: Conor Burns, il capo di gabinetto degli Esteri, e Chris Green, capo della segreteria tecnica ai Trasporti, dichiarandosi entrambi contrari al tentativo di aggirare il mandato popolare.

Ma il colpo del ko tecnico è arrivato da Nine Elms. L’ambasciatore americano a Londra ha dettato una nota durissima alle agenzie. “Se questa è la strategia Brexit di Theresa May, ha detto Woody Johnson, l’accordo bilaterale sul commercio con gli Usa è un castello in aria”. A pochi giorni dalla visita del Presidente Trump a Londra, il capo della missione diplomatica in Uk ha reiterato che gli Usa sono “assolutamente” disponibili ad un accordo commerciale bilaterale, ma che si “asterranno dal trattare finché non sarà fatta chiarezza sul perimetro delle trattative”. Allo stato, la sola via d’uscita praticabile sembra essere un congresso straordinario per la successione alla leadership del partito. Proprio ora il muro europeo comincia a mostrare vistose crepe. Le dichiarazioni del Ministro dell’Interno bavarese Horst Seehofer contro l’immigrazione in Germania ha messo in dubbio la tenuta del governo Merkel. L’allarme del Cancelliere austriaco Sebastian Kurz sulla chiusura delle frontiere al Brennero e i ripetuti appelli delle manifatture automobilistiche tedesche rivelano la realtà di un negoziato che, affidato a Theresa May e all’alto burocrate Olly Robbins, ha dato troppa corda a Bruxelles. Con il gesto di Boris Johnson la logica del negoziato cambia radicalmente. Aumenta la possibilità di una hard Brexit senza nessun accordo commerciale. Theresa May stessa lo aveva detto all’inizio del mandato ministeriale: nessun accordo è meglio di un cattivo accordo. Ma per la premier sembra già un secolo fa.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • Laura Prosperini 12 Luglio 2018

    Brexit punto e basta.
    Non ho particolare simpatia per gli anglofoni ma la coerenza con la quale ritengono sacra la parola del popolo (referendum) è encomiabile e nessuna figura ambigua (la May, oggi) può fare ciò che in Italia, invece, hanno fatto Andreatta, Prodi e Ciampi.