“I mercati non possono prevalere sulla democrazia”?

1 Giu 2018 17:02 - di Enea Franza

Riceviamo da Enea Franza e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Ci eravamo disabituati a parlare di spread, di rischio Italia e d’Italexit. Peraltro, il compito (fallito) di formare un governo all’economista Carlo Cottarelli, figura istituzionale, ex-FMI, ex-commissario per la spending review ed attualmente direttore alla Cattolica di Milano dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università, e l’attuale governo Conte, non sembrano aver rasserenato i mercati.  I mercati finanziari, dicevamo, si sono dunque innervositi. E negli ultimi giorni  i  pesanti ribassi ed un vistoso allargamento dello spread tra il rendimento decennale dei titoli di Stato italiani (BTP) e tedeschi (Bund) scontano la situazione di favore che la Borsa ha vissuto nell’ultimo anno, dove l’Italia era divenuto un paese dove investire ed i BTP galleggiavano, sul presupposto che  “tanto li compra la BCE”. Ma è, soprattutto la velocità della revisione delle aspettative che colpisce! In pochi giorni, infatti, si sono azzerati (brutalmente) i guadagni da inizio 2018, con un effetto trascinamento sugli altri indici azionari europei. Perché tali ondate di vendite ? Anche se molto ci è stato già detto in TV, vediamo insieme la logica che porta a vendere senza pensarci molto sù. In primo luogo, lo Stato italiano è indebitato per circa 2.412 miliardi di euro nei confronti di creditori esteri e italiani ed oltre il 30% è costituito da investitori esteri, che sono fondi d’investimento, banche, assicurazioni, nei quali anche moltissimi cittadini italiani hanno investito più o meno consapevolmente, sottoscrivendo per polizze assicurative, fondi comuni, ETF, fondi pensione e altri prodotti di risparmio.

La rotazione del debito pubblico, ovvero l’importo che lo Stato italiano deve rifinanziare è  di circa 400 miliardi ed avviene con l’emissione di titoli governativi come BOT, BTP, CCT, CTZ. Ora se i creditori pensano che l’Italia possa uscire dall’euro, non comprano altri titoli di Stato ed anzi vendono quelli che hanno, facendo precipitare i prezzi delle obbligazioni. Ciò porta in alto i rendimenti e lo spread. I mercati, come loro prassi, agiscono anticipando i rischi; dunque è sufficiente anche la sola plausibilità della minaccia di uscita dall’Euro per indurre gli investitori alla fuga dai titoli del debito pubblico; peraltro, l’uscita dall’euro innesta aspettative negative anche sulla futura salute delle aziende italiane, cosa che  spiega le vendite di azioni in Borsa Italiana.

Bene, vorrei ora condividere con voi alcune osservazioni. I mercati finanziari sono parte integrante della nostra struttura sociale, a prescindere dalla partecipazione diretta ad essi. Ci si partecipa, ad esempio, se chiediamo un mutuo in banca e decidiamo tra tasso fisso e tasso variabile, e tale scelta è possibile in quanto nella tesoreria della banca si negoziano interest rate swaps, ovvero, strumenti derivati  che consentono lo scambio fisso/variabile, ovvero, quando aderiamo ad un fondo pensione negoziale, o aperto (con convenzione aziendale), e quando decidiamo le linee d’investimento, dando istruzioni al gestore, che d’altro canto opera per far crescere la nostra pensione integrativa; viceversa, se i rendimenti non ci soddisfano, potremmo decidere di cambiare gestore.  Insomma i mercati vivono ed esistono perché i cittadini ci negoziano i loro eventuali saldi attivi. Il secondo aspetto da tenere in conto è che noi siamo un Paese indebitato fino al collo sui mercati finanziari e ciò ci mette in una condizione di indubbia debolezza, non potendosi ignorare i creditori  che, peraltro, sono in buona parte cittadini italiani.

Inoltre va considerato, aspetto non molto rimarcato dai media, che se la minaccia di uscita dall’euro diventasse tale da indurre le agenzie di rating a ritenere il debito italiano sub-investment grade, in teoria, la BCE non potrebbe più detenere obbligazioni italiane e, dunque, non sarebbe più autorizzata a sostenerne il prezzo. Di conseguenza i bond italiani uscirebbero da svariati indici benchmark e, perciò, dall’universo d’investimento di molti grandi fondi, con la conseguenza di una vendita massiccia. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la salita dei rendimenti obbligazionari significherà doversi confrontare con un più alto costo del debito pubblico. Peraltro, in caso di default, lo scenario estremo ed al momento davvero poco probabile – anche se da tanti paventato ma anche da altri augurato – è che lo Stato si troverebbe ad affrontare il rischio (quantificabile in: “molto alto”) di non avere denaro per pagare i dipendenti pubblici, le pensioni, le aziende fornitrici della pubblica amministrazione. Senza contare che le nostre aziende che competono su un mercato globale ne risentirebbero certamente, penalizzate da un maggior certo costo del denaro.

Va da sé, dunque, che uno scenario di possibile uscita dell’Italia dall’euro avrebbe, con elevatissima probabilità, un impatto negativo sul valore delle obbligazioni e delle azioni italiane, come i fatti di questi giorni si sono incaricati di dimostrare. C’è, comunque, sempre uno scenario peggiore. E’ quello di una crisi di panico, in grado di travolgere i mercati finanziari ancora caldi per il lungo trend positivo. In ogni caso, la  volatilità sarebbe altissima e potrebbe essere affrontata dai risparmiatori più cauti con una maggiore diversificazione nel portafoglio, che ponderi  tra i differenti fattori di rischio e con investimenti al di fuori dall’area euro su divise forti come dollaro USA e Yen, o con acquisto di azioni di aziende extra UE in settori anticiclici, robusti rispetto alle crisi, come lo è ad esempio quello dei beni di largo consumo. D’altro canto gli investitori più aggressivi troveranno in un mercato in tempesta l’opportunità di fare ottimi affari che, ricordiamolo, si fanno proprio quando essi sono in preda al panico.  Insomma, la vita può essere presa come un bel gioco, ma l’economia ha le proprie regole e per chi sfida il mercato, se non è proprio bravo, è altissimo il rischio di trovarsi spiantato, anche se a sfidare il mercato non fosse da solo ma avesse alle spalle (e portasse alla guerra)  un paese ricco e bellissimo come il nostro !

Commenti

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  • enea 4 Giugno 2018

    Cari, il mio è semplicemente un’analisi dei comportamenti del mercato e delle scelte che verrebbero poste in essere dai renitier. Sono scelte obbligate, che peraltro i consulenti consiglerebbero ai loro clienti e che i fondi adotterebbero. Nessuno suggerirebbe di sottoscrivere il debito italiano e di questo fatto tutti dobbiamo tenerne in debito conto. Nel futuro, sul beneficio per l’italia e gli altri paesi che eventualmente ci seguirebbero se ne puo discutere. Ma quello che ho scritto, piaccia o meno e quello che succederebbe (e sta succedendo) nell’immediato. Per il resto tutto si può fare, basta sapere che nell’immediato ci sono dei costi

  • TonyHope 2 Giugno 2018

    L’uscita dall’Euro gioverebbe non solo all’Italia in quanto non sarebbe più costretta a farsi prestare del denaro con relativo interesse, ma scatenerebbe un effetto domino “benefico” per gli altri Paesi distrutti dalla moneta unica. Gli unici scontenti, che tra l’altro si sono arricchiti a dismisura, sarebbero i tedeschi che tanto hanno voluto l’entrata dell’Italia, con la complicità di Prodi e Ciampi, anche se non avevamo i requisiti e che tanto hanno voluto il nostro dato che con il nostro Made in Italy eravamo il loro maggiori concorrenti e pertanto da eliminare con una guerra invisibile.

  • rolando francazi 1 Giugno 2018

    Il nostro debito pubblico, confrontato con quelli di Usa, Cina e Giappone, è poco più di una barzelletta. Nessuno Stato è in grado di poter rimborsare il suo debito sovrano se non at traverso altre emissioni. E gli investitori istituzionali sanno benissimo che trattasi di debito irredimibile.