Africa addio: dalla decolonizzazione in poi piovono solo armi e guerre

3 Giu 2018 19:20 - di Antonio Pannullo

Africa addio. Il continente africano è sempre stato uno dei principali terminali dei traffici clandestini di armi. Basti ricordare che al termine della Seconda Guerra Mondiale tutti i Paesi africani erano delle colonie, con l’eccezione di Egitto, Etiopia e Liberia. In quello stesso momento l’Unione Sovietica già pensava di armare i vari movimenti anti-coloniali che nascevano in Africa per poi inserire nella sfera di influenza le nazioni “indipendenti” che sarebbero nate. L’Egitto, alleato di Mosca, ebbe un ruolo-chiave in questa strategia: Nasser appoggiò e protesse concretamente i vari movimenti indipendentisti che spesso si organizzavano proprio in Egitto, a cominciare da quello algerino. I sovietici iniziarono a mandare armi in Egitto, dapprima con una certa difficoltà logistica, ma in seguito, con l’avvenuta indipendenza di Marocco e Tunisia nel 1956, tutto divenne più facile. Lunghe carovane iniziarono a viaggiare dall’Egitto verso l’Algeria attraverso i lunghissimi confini di quelle nazioni, riuscendo a foraggiare il Fronte di Liberazione nazionale algerino che in quel momento compì il vero salto di qualità, come capirono poi i francesi. Nel 1962 Parigi fu costretta a concedere l’indipendenza anche agli algerini.

Il caso-Ruanda

Ma uno dei motivi che condusse l’Africa ai sanguinosissimi conflitti che ancora oggi la affliggono, fu che gli africani decisero autonomamente di mantenere i confini coloniali anche dopo le varie indipendenze, cosa sbagliatissima, in quanto i confini erano stati stabiliti spesso senza conoscere le realtà del territorio, spesso dividendo popolazioni omogenee o costringendo a stare insieme popolazioni che si odiavano. Come in Ruanda, dove da sempre vivevano Hutu e Tutsi, etnie molto diverse tra lori: i primi, bantù, contadini e pastori, i secondi, watussi, allevatori nomadi. Finché il Ruanda rimase colonia belga, le due etnie convissero sempre pacificamente, ma non appena ottenuta l’indipendenza, si assisté a massacri indiscriminati a più riprese, l’ultimo dei quali avvenuto nel relativamente recente 1994. Gli hutu, infatti, appoggiati dai belgi, presero il potere subito dopo l’indipendenza, nel 1962, e per oltre trent’anni vi fu una guerra strisciante ma non poco feroce tra i due popoli, che sfocò nei massacri del 1994, quando i tutsi presero il potere, aiutati dalle armi clandestine che giungevano nel confinante Burundi inviate dalla Francia. Gli hutu si rifugiarono nel vicino Congo e in altri Paesi confinanti, esportando la guerriglia con problemi che sussistono ancora oggi. In tutto questo l’Onu, che pure in Ruanda aveva una missione, fece poco o nulla per arginare i massacri, anzi, assisté impotente al massacro di 12 soldati belgi uccisi dai ribelli.

La tragedia del Biafra

Pochi anni dopo, nel 1967, si assisté a un altro gigantesco traffico clandestino di armi, con la secessione del Biafra, ricco Stato petrolifero della Nigeria. Lagos, la capitale della Nigeria, che era indipendente dal Regno Unito dal 1960, ricevette ingenti quantitativi di armi dall’Unione Sovietica e da altri Paesi comunisti: arrivarono degli aerei Mig 19 pilotati da ufficiali egiziani. Qualche altro aiuto arrivò dal Regno Unito e qualche cannone persino dall’Italia. Col Biafra invece si schierarono i francesi, i portoghesi, gli spagnoli e i sudafricani. Come la storia insegna, la marina nigeriana bloccò i porti e l’esercito le strade che conducevano al Biafra. Le armi e gli aiuti poterono giungere solo via aerea sul piste improvvisate, come strade rettilinee. La lotta era impari e nel 1970 il Biafra si arrese, non senza aver avuto mezzo milione di vittime per la carestia creata dalla Nigeria.

Armi al Polisario

Un altro traffico di armi significativo si ebbe per armare gli indipendentisti del cosiddetto Fronte Polisario, guerriglieri che si battevano contro il Marocco per il controllo di una vasta zona desertica., il Sahara spagnolo. Libia e Algeria furono le nazioni che armarono il Polisario, con carri armati e missili antiaereo di fabbricazione sovietica. Il Marocco in ogni caso riuscì a frenare le incursioni del Polisario e oggi la situazione è in una fase di stallo.

Sudan in eterno conflitto

Un altro Paese sul quale da oltre mezzo secolo piovono armi è il Sudan. Qui la guerra civile tra musulmani e cristiani animisti è iniziata praticamente subito dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1956. Le armi in questo caso giungevano al Movimento popolare di liberazione del Sudan del colonnello Garang (cristiano) da Israele via Uganda e via Kenia. Ma il conflitto non si risolveva, fino alla seconda metà degli anni Novanta, quando ai guerriglieri del Sud arrivarono in qualche modo persino dei carri armati ucraini T-72, un centinaio, con tanto di equipaggi e meccanici, che modificarono le sorti della guerra. Tanto che Karthoum concesse dapprima le elezioni, nel 2005 e nel 2011, e poi l’indipendenza al Sudan del Sud, dove frattanto è scoppiato un nuovo conflitto interno ancora in corso. E per restare al Sudan, va ricordato che da questo Paese per decenni sono state inviate armi all’Eritrea per aiutarla nel conflitto contro l’Etiopia. L’Asmara fu foraggiata e aiutata anche dall’Urss e da alcun Paesi arabi, che inviarono pezzi di artiglieria campale, munizione, carri T-55 e il relativo carburante. Anche l’Eritrea, come sappiamo, nel 1993 raggiunse l’indipendenza quando la dittatura di Menghistu collassò.

Somalia, terra senza legge

L’ultimo teatro di guerra africana è stato, ed è ancora la Somalia, e anche qui l’Unione Sovietica fece la sua parte. Dopo l’abbandono della Somalia da parte di Mosca, il presidente somalo Siad Barre, e x sottotenente dei carabinieri ed ex comunista, entrò in conflitto con l’Urss per la questione dell’Ogaden, e chiese aiuto all’Occidente. In quegli anni della Guerra Fredda la Somalia era considerata importante per il suo sbocco nel Mar Rosso. Gli Usa aiutarono generosamente Siad Barre con fucili M-14, Carri armati Centurion e persino l’Italia inviò – col permesso degli Usa – carri M-47 e ruotati Oto Melara, che se la dovettero vedere con il corpo di spedizione cubano e con le più pesanti armi sovietiche. Nel 1985, non tutti lo ricordano, l’Italia di Craxi fece avere a Siad Barre 550 miliardi di lire, tanto che Barre disse che la Sonalia era la ventunesima regione italiana. Purtroppo Barre in seguito accentuò i suoi comportamenti dittatoriali, facendo uccidere in pochi anni 50mila persone, e attuando repressioni incredibilmente sanguinose: mandò gli aerei a bombardare la città di Hargeisa e fece sparare sulla folla in uno stadio perché criticava rumorosamente il governo. Il resto è storia nota: Barre fu cacciato e riparò in Nigeria, dove poi morì per infarto nel 1995, dopo aver profetizzato che la Somalia non sarebbe mai più diventata governabile. E così è ancora oggi. L’unico traffico di armi che si svolge oggi in Somalia è quello delle armi leggere che arrivano via mare per i terroristi islamici di al Shabaab, portate dai famosi pirati somali.

Ma la storia delle armi in Africa non finisce qui: ci sono le lunghe e sanguinose guerre di Congo, Mozambico, Rhodesia, Angola, Sudafrica, Botswana, le Guinee, conflitti nei quali furono coinvolti non solo l’Unione Sovietica e Cuba ma anche molte nazioni europee, diversi Stato mediorientali e i soliti Stati Uniti. Né va dimenticata la Libia, che sin dal 1969, con l’avvento al potere di Muhammar Gheddafi, si dette all’acquisti, in Oriente e in Occidente, di armamenti di ogni tipo e misura, pagandoli con i proventi del petrolio. Armi e mezzi che da pochi anni pi sono ritornati in circolazione dopo la caduta di Gheddafi e che adesso sono per la maggior parte in possesso dei terroristi islamici.

Commenti

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  • giancarlo cremonini 3 Giugno 2018

    Tutto verissimo gli africani sono i peggiori nemici di sé stessi