Storia di Mino Doletti, il pioniere del cinema italiano che scelse la Rsi

16 Mag 2018 19:05 - di Antonio Pannullo

Probabilmente se chiediamo a qualche studente del Dams o di analoghe scienze cinematografiche chi era Mino Doletti, non ci saprà rispondere. Forse i meno giovani degli addetti ai lavori di Cinecittà lo ricordano, e certamente i cronisti più attempati. Eppure Mino Doletti, veronese classe 1906, è uno che la storia del cinema italiano la fece davvero. Giornalista, sceneggiatore, critico cinematografico, conobbe e lavorò insieme a tutti i più grandi del cinema italiano: da Anton Giulio Bragaglia ad Antonioni, da Cesare Zavattini a Giuseppe Vittorio Sampieri. Fu amico inoltre di Ada Negri, Stefen Zweig, Angelo Silvio Novaro, Giovannino Guareschi, Massimo Bontempelli e moltissimi altri artisti e uomini di cultura della sua epoca. Era inoltre particolarmente amici di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, i due attori trucidati a Milano dai partigiani senza motivo e soprattutto senza processo. Doletti si laureò in Giurisprudenza a Verona, ma non era quella la sua strada. Si interessava soprattutto di teatro, di spettacolo e di cinema, e in tale veste entrò a lavorare al Resto del Carlino, dove rimase diversi anni, fino al 1937, come critico cinematografico. Fervente fascista, condivideva l’opinione del governo che “la cinematografia è l’arma più forte”, tanto che il 29 gennaio del 1938 ebbe l’intuizione geniale di fondare una rivista, Film, che si occupava solo di cinema, di teatro e di radio, che in poco tempo divenne la più diffusa d’Italia. Grazie ai suoi ottimi rapporti con il milanese Luigi Freddi, giornalista, politico e massimo esponente della politica cinematografica del governo fascista, Doletti si traferì a Roma per iniziare la sua nuova avventura. L’articolo di fondo era firmato da un altro grande estimatore di cinema, Vittorio Mussolini, e a Film collaborarono le firme più brillanti di quel periodo, da Gherardo Gherardi a Eugenio Ferdinando Palmieri, a Ugo Ojetti e la figlia Paola, a Giuseppe Marotta, a Umberto Barbaro, a Lucio Ridenti, a Luigi Chiarini, a Santi Savarino, a Giovanni Mosca, a Case Vico Lodovici e tantissimi altri, oltre a quelli citati all’inizio. La produzione cinematografica del nostro Paese, che negli anni Venti – all’avvento del fascismo – non aveva superato il 25 film l’anno, vide la sua produzione, nel 1940, salire a 70 film annuali. Nel ’41 segna quota 90 e, nel 1941, la produzione, sempre annuale, è di 191 pellicole.  Rimangono oggi circa 150 tra disegni e bozzetti originali di caricaturisti dell’epoca tra cui Alvaro Corghi, Michele Majorana e Umberto Onorato, anch’essi collaboratori del settimanale. A tutt’oggi Film rimane la più importante rivista del settore, perché contribuì a creare e a definire la figura del critico cinematografico come la conosciamo oggi. Quando nacque la Repubblica Sociale Italiana, Doletti vi aderì senza esitazione, e la sua rivista, frattanto trasferita a Venezia, divenne l’organo ufficiale del cinema della Repubblica. Ma nel 1945 il suo nome comparve sulle liste di proscrizione e Doletti fu emarginato per aver aderito alla Rsi. Nel 1946 gli antifascisti si impossessarono della sua rivista, e lui fondò un’altra rivista nello stesso settore, Film d’oggi, che sopravvisse sino al 1957. Successivamente trovò lavoro al quotidiano romano Il Tempo dove fu apprezzato critico cinematografico fino a pochi mesi prima della sua morte, avvenuta nella capitale il 16 maggio 1987. Esiste oggi un fondo, il fondo Mino Doletti, il cui materiale archivistico fu venduto alla Biblioteca teatrale Siae da un collezionista privato nel novembre del 1987. Il fondo è costituito dalla corrispondenza di Mino Doletti con autori e attori teatrali italiani negli anni Trenta e Quaranta. Doletti ci ha lasciato diverse sceneggiature, libri e migliaia di articoli. Nel primo numero di Film, del gennaio 1938 come detto, Doletti, in un articolo intitolato Orizzonte trovato, propone di girare un film sull’Impero italiano da poco tempo riapparso sui colli fatali di Roma. Scrive Doletti: “ Ci siamo lasciati scappare la grande guerra; ci siamo lasciati scappare la rivoluzione; ci lasceremo scappare certamente anche la Spagna . Cerchiamo almeno di non lasciarci scappare la conquista dell’Impero. Dico la conquista dell’Impero nel senso di fare un grande film non della guerra ma della pace. Un grande film western, di quegli ariosi, possenti western americani che hanno cantato per tanti anni alla nostra fantasia la loro storia bella e avventurosa”.

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