Riti voodoo e un futuro da “maman”: così le nigeriane finiscono sulla strada (video)

22 Mag 2018 15:23 - di Redazione

La polizia di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, ha arrestato 4 persone, un italiano e 3 nigeriani, per i reati di associazione a delinquere con carattere di transnazionalità, tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Le indagini sono partite nell’aprile del 2016 dopo la denuncia di una minorenne nigeriana, che ha raccontato alla polizia di essere arrivata su un barcone in Italia dalla Libia insieme ad altri 140 connazionali. Sbarcata a Lampedusa, si è ritrovata costretta a prostituirsi a Napoli con una compagna di viaggio, sotto il controllo di una ”madame”, per saldare il debito di 30mila euro per la sua liberazione.

Le ragazze erano tenute in schiavitù in un appartamento di Giugliano di Napoli. A gestirle erano una nigeriana di 30 anni, detta Mommy, il fratello e il fidanzato. I tre mantenevano contatti con altri soggetti non ancora identificati in Nigeria e Libia, che secondo gli inquirenti erano gli organizzatori dei “viaggi della speranza” verso l’Italia al termine dei quali le ragazze si trovavano costrette sulla strada. Oltre a loro, agli arresti è finito un tassista con precedenti specifici, che aveva il compito di accompagnare e riprendere le ragazze sul “posto di lavoro”. Per la polizia si tratta di una figura nuova nello scenario dello sfruttamento della prostituzione nigeriana, «poiché i soggetti di tale etnia – hanno spiegato gli investigatori – si affidano, per questo tipo di servizi, a loro connazionali». L’attività investigativa ha fatto emergere che la “Mommy” anticipava i soldi per il viaggio delle ragazze, le quali, una volta giunte in Italia, ratealmente, erano obbligate a restituirli e a versare, settimanalmente, le spese per il vitto e l’alloggio. La stessa Mommy poi coordinava le ragazze nell’attività di prostituzione, beneficiando degli introiti.

La ragazza minorenne, che con la sua denuncia ha fatto scoprire quello che accadeva, ha raccontato che, prima di lasciare il suo villaggio in Benin City, era stata sottoposta al “rito voodoo”, che nella regione di origine della minorenne è chiamato “juju”. Una pratica cui sono state sottoposte anche le altre ragazze e messa in atto dal “baba-loa”, una figura religiosa tradizionale molto diffusa e rispettata, soprattutto nelle zone non musulmane della Nigeria meridionale. Sembra che nello stato di Edo ci siano infatti ben 5mila baba-loa, regolarmente iscritti a un albo professionale di categoria, i cui compiti sono legati soprattutto al bisogno di coesione comunitaria, mediazione nei conflitti sociali e familiari, nonché a virtù di carattere terapeutico. In genere le ragazze vengono portate dal baba-loa, che le fa inginocchiare, si fa consegnare un ciocca di capelli, dei peli pubici, una fotografia, un lembo del vestito, unghie dei piedi, un assorbente usato e li mescola in un sacchetto pieno di polveri magiche. Invoca gli spiriti degli antenati e le ragazze giurano che obbediranno sempre alla signora (maman, mommy o madame) che le deve portare in Italia. Questo tipo di rito voodoo contribuisce a rendere docili ed obbedienti le ragazze, terrorizzate dal fatto che alcune parti del loro corpo sono nelle mani dello stregone.

A questo si aggiunge il potere coercitivo del debito contratto per il viaggio e per estinguere il quale occorrono in media tra i due e i tre anni di lavoro continuativo, considerate anche le spese che vengono detratte per il vitto, l’alloggio e l’affitto del joint, la porzione di strada su cui “lavorare”. Coloro che giungono al termine del percorso, senza essere rimpatriate coattivamente o senza innescare i meccanismi di fuoriuscita dal circuito previsti dalle leggi italiane, a volte decidono di continuare a lavorare nel settore del sesso a pagamento. In questo caso possono scegliere due strade: esercitare in proprio o entrare a far parte dell’organizzazione e diventare maman, dopo un periodo di apprendistato in cui aiutano la capo-gruppo nelle mansioni quotidiane. La sfruttata può quindi diventare sfruttatrice e decidere di perpetuare il sistema, che appare così retto da una sua logica intrinseca, perversa ma rigorosa. Secondo questo schema, le donne accettano di vivere in una situazione para-schiavistica tre o quattro anni, per poi cominciare quel processo di accumulazione del capitale che rappresenta il senso ultimo del loro progetto migratorio.

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