Vallanzasca chiede la libertà condizionale. Ecco cosa resta del mito del bel René

17 Apr 2018 13:57 - di Lorenza Mariani

Ha trascorso 45 anni in carcere, e per il suo avvocato difensore «ha saldato suo debito»: ed è sulla base di questa premessa che il legale di Renato Vallanzasca ha chiesto ai giudici del tribunale della Sorveglianza di Milano «la liberazione condizionale», o in subordine, la «semilibertà», per il “bel René”, beneficio già ottenuto nell’ottobre 2013, ma poi revocato dopo l’arresto del giugno 2014 per il furto in un supermercato di due paia di boxer, due cesoie e del concime per piante. Una tentata rapina costata all’ex capo della banda della Comasina una condanna a 10 mesi di carcere e 300 euro di multa, che si aggiungono, anzi, che in realtà stridono con un curriculum criminale in cui spiccano 4 ergastoli e 296 anni di carcere di condanna.

Vallanzasca chiede la libertà condizionale

Nell’istanza, presentata dal difensore Davide Steccanella, si ricorda come Vallanzasca, che a maggio compirà 70 anni, abbia trascorso in carcere 45 anni, «quasi mezzo secolo». Come “solo” dal dicembre 2009 il detenuto abbia iniziato a usufruire di permessi, e che nel marzo 2010 il Bel Renè ha iniziato a lavorare nella cooperativa Ecolab, prestando servizio in una ricevitoria a Milano prima dell’ultimo arresto, una frenata nel suo percorso di riabilitazione che lo ha inesorabilmente trasformato «da efferato omicida» a maldestro ladro di mutande.  Un presunto percorso di rinascita fatto anche di un nuovo legame sentimentale e, sempre a detta del suo legale, di un «cambiamento profondo, non solo anagrafico, ma intellettuale ed emotivo», come certificato da un’equipe di specialisti del carcere di Bollate che nella relazione del 22 febbraio scorso ravvisava «un adeguato livello di ravvedimento», ritenendo che Vallanzasca «possa essere ammesso alla liberazione condizionale o in subordine alla semilibertà».

In subordine Vallanzasca punta alla “semilibertà”

Il bel Renè, che non ha parlato durante l’udienza a porte chiuse di stamattina, seppure abbia un’età «ormai equivalente a quella di un pensionato» – ha fatto notare il suo avvocato difensore –, potrebbe lavorare come volontario nella comunità Il Gabbiano di Calolziocorte (Lecco) e potrebbe essere ospitato nella casa della compagna a Milano. I giudici, pertanto, hanno acquisito la sentenza sulla tentata rapina, così come il rapporto disciplinare disposto dalla direzione del carcere di Bollate sul comportamento dell’agente di Polizia Penitenziaria che lo scorso agosto aveva denunciato di essere stato aggredito da Vallanzasca nell’istituto penitenziario. Il collegio di giudici, presieduto da Giovanna Di Rosa, si è riservato: a breve, non esiste un termine definito, deve decidere se concedere all’ex capo della banda della Comasina la liberazione condizionale o la semilibertà.

Ma cosa resta, oggi, del mito del “bel René”?

E in attesa della decisione togata, ci si chiede: cosa resta, oggi, dopo decenni di galera alle spalle, una condanna a quattro ergastoli e sei omicidi – per cinque dei quali lo stesso imputato si è anche ammesso colpevole – e un numero più che elevato di rapine e sequestri sulla coscienza, di quel ragazzo difficile cresciuto tra Lambrate e Giambellino, lucido, freddo, inafferrabile? Di quel detenuto capace di sobillare rivolte in carcere e di tentare più volte l’evasione? Forse solo le pagine ormai spiegazzate e logore di una letteratura criminale esaltata dall’aspetto giovanile, e allora avvenente, del bel René che oggi, dietro quegli occhi azzurri appesantiti da rughe profonde e da uno sguardo spento, cela più che altro l’immagine di un criminale alle soglie della pensione che, come un qualunque adolescente, ruba cosette da poco all’Esselunga, e si fa beccare a rompere delle confezioni di boxer nella corsia dell’intimo. Resta ben poco, insomma, verrebbe da dire: solo slabrati resti di una veste mitica per decenni cucita su misura di un mito gangster – quello del famigerato Vallanzasca – protagonista indiscusso della criminalità degli anni ’70 e ’80, che oggi però s’inchina al disarmo.

Commenti

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  • lamberto lari 18 Aprile 2018

    I morti di Vallanzasca non resuscitano, gli affetti di famiglie intere non si riabilitano, le vite stroncate le sofferenze inflitte a chi restava, la paura che il popolo ha patito…..i costi che lo stato ha dovuto affrontare, il tempo in cui le aule di tribunale sono state occupate a discapito di altri cittadini bisognosi di giustizia, forze dell’ordine che non hanno dormito notti e giorni interi lontani dalle loro famiglie nei giorni di festa nei compleanni nelle ricorrenze dei propri car per la sua cattura……..e ora cosa si chiede? libertà e semilibertà, strizzando il nostro cuoricino intriso di pietà! Non è giusto questo ricatto morale e psicologico, bisogna ricordare che l’Italia ha abrogato la pena di morte ma in cambio bisogna avere la fermezza, pur nel rispetto della dignità umana, di tenere lontano da tutta la società individui come lui. Si potrebbe fare tanta filosofia nel merito ma non si dimentichi che se ci fosse stata la pena di morte la question non si sarebbe posta! quindi non tiriamo la corda, abbiamo concesso un dito per segno di civiltà e moralità, non possiamo concedere l’esatto contrario in nome di che cosa???? La scelta l’ha fatta lui e oggi non possiamo chiedere a noi il gesto di tornare in dietro, in dietro non si torna, magari fosse possibile e soprattutto non dobbiamo illuderci che sia possibile.