Divorzio, ecco 3 modi legali per non versare l’assegno di mantenimento all’ex

22 Apr 2018 18:23 - di Redazione

Non siamo più ai tempi di Divorzio all’italiana, quando il delitto d’onore poteva sciogliere nel sangue matrimoni finiti e allontanare per sempre coniugi infedeli o di troppo, riscattando offesa e immagine pubblica. No, neppure Pietro Germi, per quanto coadiuvato da uno sceneggiatore doc come Ennio De Concini avrebbe saputo inventare e scrivere quanto codici e regolamenti normativi sono arrivati a prevedere e ad ammettere. Ma tant’è…

Divorzio e assegno divorzile: ecco a che punto è la legge

E così, in questa primavera che si preannuncia molto calda, e non solo per le temperature o per la febbrile attesa della nascita di un nuovo governo: ci sono altre questioni che accendono il dibattito sui quotidiani, questioni in sospeso o in attesa di giudizio. E allora, una tra le vertenze in corso più seguite nelle ultime settimane riguarda, guarda caso, il pronunciamento della Corte di Cassazione sui criteri per stabilire l’attribuzione dell’assegno di divorzio all’ex coniuge. Sentenza che arriverà, a Sezioni Unite, probabilmente entro la fine del mese, ossia a breve. Dal 1990 al 2017 l’interpretazione è stata univoca: l’assegno divorzile doveva essere commisurato al “pregresso tenore di vita”. Il criterio aveva provocato, nel corso degli anni, situazioni percepite come profondamente ingiuste, con assegni riconosciuti a persone (per lo più ex mogli) di giovane età e assolutamente abili al lavoro, che però preferivano contare su quanto versato dall’ex partner. Nel 2017 il “terremoto”, tramite la sentenza della Cassazione, del “caso Grilli” che statuiva: «L’assegno è dovuto solo a chi non è, né può essere, economicamente autosufficiente». «La partita è complessa, e si gioca su tre possibili interpretazioni: la Corte potrebbe tornare al passato e recuperare il criterio del tenore di vita – non tenendo conto dei mutamenti sociali nel frattempo intervenuti – oppure potrebbe ribadire il principio dell’autosufficienza economica – pur con i problemi legati al tasso di disoccupazione, che rende non omogenea la possibilità di impiego da nord a sud, oppure, ancora, optare per un’interpretazione che adotta criteri diversi caso per caso». Tre possibilità enucleate e spiegate dall’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente e fondatore dell’associazione Familylegal.

Come tutelarsi da sgradevoli sorprese…

Anche a causa di questa scarsa chiarezza nei criteri di calcolo degli assegni di mantenimento, migliaia di papà – che questo assegno sono costretti a versarlo – si trovano nella condizione di non arrivare a fine mese. Peraltro in Italia, a differenza degli Stati Uniti (o di Inghilterra, Germania e Spagna), non ci si può tutelare tramite i patti prematrimoniali. Quelli riferiti al divorzio in particolare sono nulli per illiceità della causa, poiché in contrasto con il principio di indisponibilità dei diritti scaturenti dal matrimonio. È tuttavia possibile tutelarsi per evitare spiacevoli sorprese, «essenzialmente attraverso tre modalità, che permettono di evitare speculazioni e garantiscono di conservare le risorse economiche per affrontare la separazione con un po’ più di serenità», chiarisce Puglisi.

Ecco i 3 modi legali per evitare di versare l’assegno di mantenimento

1. Uno dei motivi che spinge tante mogli separate a lottare tenacemente per l’assegno divorzile è la possibilità di conseguire una quota sostanziosa del Tfr dell’ex marito. L’art. 12-bis della legge sul divorzio stabilisce, infatti, che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto titolare dell’assegno divorzio, alla percentuale del 40% dell’indennità di fine rapporto. «Ciò nonostante un modo per prevenire tutto ciò esiste: è sufficiente fa confluire il proprio Tfr in un fondo pensione – precisa Puglisi – Tali somme, infatti, come hanno correttamente rilevato le Sezioni Unite della Cassazione, non possono essere considerate nel calcolo del 40% in quanto il loro ambito applicativo dovrebbe essere confinato alla retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore durante gli anni di svolgimento del rapporto e non anche a contributi da cui i lavoratori non possono trarre alcun immediato arricchimento».

2. Un altro fra i temi più spinosi è quello dell’assegnazione della casa coniugale: molti mariti pensano, infatti, che sia sufficiente intestare l’immobile a un parente (magari proprio ai genitori) per evitare che la futura ex moglie possa accaparrarsi il diritto di abitarvi sino all’indipendenza economica dei figli. Ebbene, la Cassazione, sul punto, ha precisato più volte che la casa rimane ai nipoti perché è stata messa a suo tempo a disposizione proprio affinché vi si potesse insediare la vita familiare, e può esserne chiesta la restituzione solo quando ne cesserà la naturale funzione: ovvero in casi di separazione al raggiungimento della indipendenza economica dei figli. La restituzione è ammessa prima del verificarsi di tale condizione esclusivamente se è indispensabile per i proprietari, ovvero in buona sostanza, se vi debbano abitare perché non possiedono altri immobili.

3. Infine, tra le armi non convenzionali rientra – per chi può permetterselo – la delocalizzazione all’estero. Chi svolge un’attività che non abbia radici in Italia (ad esempio gli informatici o i consulenti globali) è libero di potersi aprire una società o una partita iva all’estero rendendo, quindi, certamente più difficoltosa la quantificazione del reddito effettivamente percepito.

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