Bologna, al processo contro Cavallini chiesta nuova perizia sull’esplosivo

18 Apr 2018 18:35 - di Massimiliano Mazzanti

Da Massimiliano Mazzanti riceviamo e volentieri pubblichiamo

Caro direttore,

udienza dopo udienza, il processo a carico di Gilberto Cavallini si configura sempre di più come un gigantesco “bis in idem” e che mai sarebbe dovuto cominciare, se esistesse ancora una “civiltà giuridica” propriamente detta. Anche il secondo giorno di dibattimento – sono stati ascoltati l’ufficiale dei Ros, al quale furono delegate parte delle nuove “indagini”, l’ex-fidanzata dell’imputato, Flavia Sbrojavacca, e le due testi della vicenda che riguardò, per altro, essenzialmente Luigi Ciavardini: Cecilia Loreti, Elena Venditti -, non è emerso nulla di diverso da quanto è già conosciuto da decenni, dimostrando una volta di più come investigatori e inquirenti, in questi ultimi anni, si siano veramente limitati a leggere le carte dei vecchi procedimenti. E cosa ci sarebbe di nuovo, almeno a livello interpretativo, è tutt’ora un mistero. Fuori da ogni consuetudine, il miglior investigatore, in questa situazione, si dimostra il presidente della Corte d’Appello, Michele Leoni, il quale non solo sembra proprio aver speso tempo su tempo nella lettura delle carte del passato, ma dimostra anche di averne rilevato non poche – e non poco significative – incongruenze, al punto d’aver disposto una nuova perizia esplosivistica, affidata a Danilo Coppe, con cui si spera almeno di chiarire definitivamente almeno la “dinamica” dell’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.

In particolare, quel che s’intende appurare – magari avvalendosi delle nuove tecniche d’investigazione scientifica – è se l’innesco della bomba fu chimico o meccanico e, nel primo caso, se non abbia senso ipotizzare allora un eventuale scoppio accidentale dell’ordigno. Presidente della Corte d’Appello, Leoni, il quale oggi ha manifestato più di un segno d’insofferenza verso gli avvocati di parte civile, quelli legati all’associazione diretta da Bolognesi e che ha dato il “via” a questo processo, quando hanno più volte insistito sulle domande ai testimoni circa i fatti di 38 anni or sono, tentando di cercare negli evidenti vuoti di memoria degli interrogati quegli elementi di novità che ancora si stanno aspettando. Tutte e tre le signore interrogate, infatti, si sono limitate a dire quello che hanno sempre detto, premettendo, dopo la formula di rito, di confermare comunque le dichiarazioni rese in passato, confermando le parole di allora, qualora fossero differenti dai ricordi o dalle amnesie di oggi. Forse, ma ci vorrà tempo per questo, solo la confessione del figlio di Massimo Sparti, Massimiliano, che sarà la prima resa da questi in un contesto giudiziario così solenne, costituirà la vera, unica novità di questa fase dibattimentale: ma, sarà quando sarà, non andrà certo nella direzione di chi ha voluto questo processo, dal momento che verrà a Bologna per dire che il padre, sulla strage, ha sempre e solo mentito.

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