Domenico Gramazio ricorda Angelo Mancia, il “cuore nero” di Talenti

12 Mar 2018 19:45 - di Antonio Pannullo

Domenico Gramazio è uno dei più profondi conoscitori del mondo della destra italiana e romana in particolare: consigliere comunale, poi regionale, poi deputato per due legislature e senatore per altrettante, ha vissuto il periodo del Movimento Sociale negli anni Settanta e Ottanta, per poi passare ad Alleanza Nazionale, poi nel Pdl, fino ad approdare in Forza Italia, in un percorso coerente senza mai dimenticare da dove era partito. Tanto che adesso fa capo ancora alla storica prima sezione del Msi di piazza Tuscolo, oggi sede del Centro di Iniziative Sociali che ospita convegni e dibattiti culturali. Gramazio è probabilmente quello che Angelo Mancia lo ha conosciuto meglio di tutti, insieme con gli altri storici attivisti della sezione del Msi di Talenti. La sezione Talenti, in via Martini 29, vicino alla piazza principale del quartiere, piazza Pier Carlo Talenti, la aprirono nel 1972 proprio Domenico Gramazio insieme con Bruno Tomasich, che aveva già aperto la sezione Montesacro in via Valsolda. Furono due sezioni particolarmente bersagliate dalla furia comunista e anche dalla questura, che le chiuse più volte. Questo perché il quartiere confinava con zone rosse, come Tufello, Val Melaina, San Basilio, tutti luoghi dove i collettivi della sinistra estrema la facevano da padroni ed erano violentissimi. Per loro uccidere un fascista non era un reato. Né mettere bombe, aggredire, incendiare, sprangare. Ciononostante la Talenti ebbe sempre una buona affluenza di giovani, soprattutto, racconta Gramazio, “da quel giorno del 1974 in cui si presentò Angelo, al quale io stesso feci la tessera del partito. Capii che era un ragazzo motivato, solido, entusiasta, e poco dopo lo nominai segretario giovanile”. Sotto l’impulso di Angelo, il nucleo giovanile raggiunse il numero, stupefacente per l’epoca, di una settantina di ragazzi, che si impegnavano ogni giorno nelle varie attività sezionali. “Ma la qualità più grande di Angelo – ricorda Gramazio – era la sua comunicativa, la sua capacità naturale di entrare in sintonia con gli altri, e questo ne fece un leader, cosa che purtroppo poi si rivelerà la sua condanna”. Angelo Mancia infatti si sovraesponeva, andava davanti alle scuole a dare volantini, organizzava comizi, incontri in sezione, parlava con tutti, andava nei mercati a fare propaganda e, quando qualcuno glielo voleva ingiustificatamente impedire, riaffermava il suo diritto alla libertà di parola anche con la forza. Andava allo stadio, era tifosissimo della Lazio, e anche in curva conosceva tutti. Racconta ancora Gramazio: “Ricordo che lui fece il servizio militare nei Vigili del Fuoco, e in capo a poche settimane, grazie al suo modi di essere estroverso e disponibile, divenne amicissimo del comandante dei pompieri Pastorelli, che lo aveva preso a benvolere e lo voleva sempre con lui”. Oltre a questo, Angelo, insieme con Gramazio e Mimmo Andriola, si prodigava per organizzare il Torneo Fiamma, il campionato di calcio delle sezioni del Msi di Roma, coppa che la Talenti riuscì anche a vincere. “Sì, – dice Gramazio – dal 1973 fino alla fine del decennio fu un periodo molto intenso: ogni giorno facevo più volte il percorso dalla sezione di piazza Tuscolo alla Talenti, attraversando tutta Roma. Dopo il rogo di Primavalle, intitolammo la sezione di via Martini ai fratelli Mattei. C’era sempre necessità di stare in guardia, perché i comunisti avevano alzato il tiro. Ricordo distintamente che una volta, proprio sulla piazza Talenti, dove c’era la Standa, io, Angelo e pochi altri stavamo attaccando i manifesti per la campagna elettorale del 1978, erano manifesti di Michele Marchio. A un certo punto passano due o tre moto, i cui passeggeri ci spararono contro. Ci buttammo tutti a terra, ma un proiettile colpì il muro pochi centimetri sopra la testa di Angelo. Lo avevano già preso di mira”.

L’impiego al “Secolo d’Italia”

Successivamente Marchio e Gramazio, poiché Angelo non lavorava, lo fecero assumere da Giuseppe Ciarrapico come fattorino al quotidiano del partito, il Secolo d’Italia, “Lui aveva l’incarico – dice Gramazio – di portare la mattina copie del giornale in vari uffici pubblici, tra cui il tribunale di piazzale Clodio. E lì, incredibilmente, divenne amico del colonnello Antonio Varisco, che poi sarà ucciso dalle Brigate Rosse, e il cui padre aveva combattuto nella Repubblica Sociale“. Varisco precederà di poco il suo amico Angelo, perché fu ucciso nel luglio del 1979, cosa che colpì moltissimo Angelo e lo raffermò nella sua lotta al comunismo. Ma rimase sempre un ragazzo dal grande cuore: “Quando fui accoltellato davanti la sezione Colle Oppio dagli autonomi – ricorda ancora Gramazio – ero immobilizzato in casa, e Angelo ogni giorno veniva da Talenti, allora abitavo a Monteverde, e mi portava il prosciutto tagliato a mano, il pollo per il brodo (i suoi avevano un negozio di alimentari), mi sorreggeva perché non potevo camminare, insomma un ragazzo d’oro”. Ma le cose andavano sempre peggio per i giovani missini: gli attentati si susseguivano, senza che le forze dell’ordine riuscissero a frenare la violenza dell’estrema sinistra. In quei giorni del 1980 ci furono due bombe al Secolo d’italia, che causarono feriti anche gravi una bomba di inaudita potenza al Fronte della Gioventù di via Sommacampagna, scoperta e disinnescata per caso due minuti prima dell’esplosione, ci fu l’omicidio al quartiere Flaminio di un cuoco, Luigi Allegretti, che era stato scambiato per un dirigente del Msi che abitava nel portone accanto, due bombe ad alto potenziale esplosero davanti la sezione del Msi di Montesacro. L’aria era pesantissima. E il 22 febbraio accadde la tragedia che probabilmente segnò il destino di Angelo Mancia: fu ucciso in casa sua, davanti ai genitori legati e imbavagliati, con modalità atroci, il giovane comunista Valerio Verbano, molto attivo tra i collettivi della zona, che frequentava il liceo Archimede e il collettivo di Val Melaina. Questo barbaro omicidio, dalle modalità stranissime e non abituali nella lotta politica di quegli anni, scatenò una serie di violenze inaudite contro il Msi. I collettivi diedero subito la colpa ai fascisti ma oggi, dopo tanti anni, nulla è mai emerso a proposito delle responsabilità dei Nar o di altri gruppi dell’estrema destra in questo omicidio. Non un pentito, non una confessione, non un sospetto, non un racconto da parte di nessuno che neanche avesse sentito parlare di quell’episodio. Le rivendicazioni furono due: una dei Nar, che però indicarono una pistola diversa da quella che sparò, indicarono una calibro 38 mentre quella utilizzata fu una calibro 7,65, e una dei Proletari armati organizzati, che precisarono di voler solo gambizzare il giovane e non di ucciderlo. A tutt’oggi non si è mai scoperto niente. Ma i comunisti avevano già individuato e condannato il colpevole: doveva essere Angelo Mancia. Nei giorni successivi saltarono una decine di sezioni e di luoghi di ritrovo del missini, in tutta Roma comparvero minacciosi manifesti firmati dalla Volante Rossa che annunciavano vendette sanguinose, ma la polizia non seppe individuare gli autori, o forse non li volle cercare. Il giorno prima dell’assassinio di Angelo, fu ucciso il cuoco di cui abbiamo parlato e fu fatta saltare vicino piazza Vescovio la casa di un noto dirigente missino.

L’ondata di violenza contro il Msi

“L’aria era veramente pesante – ricorda Gramazio -.tanto che due giorni prima, il 10 marzo, portammo Angelo a pranzo con noi in una trattoria vicino piazza Tuscolo. Eravamo io, Tommaso Luzzi, Francesco Storace e forse qualcun altro. Gli dicemmo di stare attento, di allontanarsi, che era anche lui nel mirino. Ma lui, col suo solito carattere, disse di non preoccuparsi, che a lui non avrebbero fatto nulla, e di stare tranquilli. Due giorni dopo, di prima mattina, mentre eravamo alla sezione di piazza Tuscolo, la radio dice che è stato ucciso un ragazzo missino a Montesacro alto. Capimmo subito. Ci precipitammo con le moto a via Federigo Tozzi, dove Angelo abitava con la sua famiglia, e arrivammo proprio mentre la polizia stava coprendo Angelo con un telo bianco”. Gramazio ricorda che in quello ore Almirante chiamò lui e altri tre esponenti del Msi romano dicendo che avrebbero dovuto allontanarsi subito dalle loro case, perché erano anche loro nell’elenco delle persone che i terroristi avrebbero ucciso. “E qui accade una cosa strana – sono sempre le parole di Gramazio – Almirante per prudenza incaricò una società di vigilanza privata, il cui presidente era un suo amico e un amico del Msi, di sorvegliare le nostre case. Ma qualche giorno dopo, il capo della vigilanza telefonò ad Almirante dicendo che la sorveglianza doveva essere interrotta perché la questura aveva saputo della cosa e l’aveva diffidato dal continuare a svolgere questo servizio”. Dopo la morte di Mancia i giornali di regime si affannarono a descriverlo come un delinquente, un picchiatore, un vero criminale, tanto che il Secolo, per far cessare le menzogne antifasciste, dovette pubblicare il certificato pensale di Angelo, che ovviamente era incensurato. “Per la verità – sorride Gramazio – qualche tempo prima era stato accusato per via di alcuni scontri vicino piazza Bologna: a quei tempi le forze dell’ordine non andavano tanto per il sottile, prima di sbattevano in galera e poi facevano le indagini. Così Marchio decise di allontanare Angelo da Roma, e lo mandò a Fondi da amici comuni. Gli ripetemmo e gli raccomandammo di non farsi vedere in giro, di stare nascosto, ma lui invece ogni giorno se ne andava alla sezione del Msi di Fondi per stare con gli amici. Ricordo che la sezione era tenuta dal segretario Nicola Macaro, storico esponente del Msi pontino. Poi ci fu il processo, Mancia era difeso dagli avvocati Marchio e Valentino, e ovviamente fu assolto”.

Della camera ardente di Angelo Mancia ho un profondo ricordo personale. Davanti al feretro montavano la guardia d’onore molti missini, anche parlamentari, ce ne erano quattro, uno a ogni lato. Mi trovavo lì, insieme con altri attivisti, e notai il senatore Marchio in piedi già da ore davanti alla bara di quel ragazzo che considerava come sui figlio. Marchio nel 1980 non era più un ragazzino, vidi che era stanco e sudato, oltre che visibilmente sofferente. Mi feci avanti per rilevarlo, ma lui con uno sguardo imperioso mi intimò di andarmene, perché voleva restare lui. E restò. Era di questa tempra che erano fatti i missini allora. Gli assassini di Angelo non furono mai trovati. Neanche quelli di Verbano.

Commenti

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  • ardito 16 Marzo 2018

    Presente!

  • Gianni 13 Marzo 2018

    NON MI FATE RICORDARE QUEI TEMPI BUI , ERAVAMO EROI , ,QUESTI SIGNORI CI DOVREBBERO ” TRATTARE CON IL TAPPETO ROSSO , INVECE FANNO FINTA DA NON CONOSCERTI , NOI ABBIAMO COSTRUITO , E LORO STANNO DISTRUGENDO IL PARTITO, MI RICORDO UN MIO AMICO CHE LAVORAVA AL SECOLO , E MI PORTAVA DELLE COPIE CHE IO DISTRIBUIVO , ERA UNAVENTURA FARTI VEDERE COL SECOLO. CHE FINE AVETE FARE AL PARTITO?