Cremona, «Il compagno finito in coma fu colpito dai suoi, non da CasaPound»

8 Mar 2018 20:00 - di Valeria Gelsi

Parlarono di aggressione fascista, accusando i ragazzi di CasaPound, poi misero a ferro e fuoco Cremona, pretendendo la messa fuori legge del movimento della tartaruga. Già pochi giorni dopo, però, le indagini, grazie anche alle inequivocabili immagini di una telecamera comunale e alle intercettazioni, fecero emergere che i veri aggressori erano invece proprio gli antifascisti che si proclamavano vittime: i militanti del centro sociale cittadino Dordoni. Erano stati loro ad attaccare, a freddo, i ragazzi di CasaPound al termine di una partita di calcio. Ora il processo, che vede 17 imputati, fa venire alla luce un dettaglio sui fatti di quel 18 gennaio 2015 che aggrava la posizione degli antifascisti. Una testimone li ha indicati come autori dell’episodio più grave della rissa: il colpo alla testa inferto con una spranga a Emilio Visigalli, militante del Dordoni con un passato da skinhead.

La testimone del pm che scagiona CasaPound

Visigalli per quel colpo alla testa finì in coma. Una brutta faccenda addebitata a due ragazzi di CasaPound, anche se – come emerse dai filmati – a essere in possesso delle spranghe erano quelli del Dordoni. Sui due ragazzi, uno dei quali venne a sua volta gravemente ferito, pesa attualmente l’ipotesi gravissima di tentato omicidio. Ma la testimonianza chiave della prima udienza fa sperare che l’accusa possa cadere. «Io non simpatizzo per nessuna fazione», ha premesso la testimone, che, dettaglio non secondario, è stata chiamata dalla pubblica accusa e non dalla difesa. «Volava di tutto, c’erano persone schierate da una parte e dall’altra. Quelle più vicine al centro sociale Dordoni indossavano caschi da motociclista e avevano mazze. Ho visto quell’uomo a circa sette metri da me, l’unico senza casco del Dordoni. A colpirlo con un bastone è stato uno con il casco integrale che era dietro di lui, un po’ sulla destra. Lui ha barcollato un po’, poi è crollato», ha raccontato la testimone che, pur non sapendo dire se il colpo fu volontario o un errore, non ha alcun dubbio sulla parte da cui provenne.

I centri sociali premeditarono l’aggressione

Diversi dettagli del racconto della testimone collimano con quanto si vede nel filmato acquisito dagli inquirenti. In particolare, il fatto che a indossare i caschi e brandire le mazze non erano quelli di CasaPound. Non a caso, l’ipotesi formulata dall’accusa è che gli antifascisti, bardati in assetto da guerriglia, avessero premeditato l’aggressione. Di più, che fra le menti dell’assalto vi fosse lo stesso Visigalli, a sua volta prima arrestato e ora imputato. Nella rissa che si generò, dunque, il ruolo dei ragazzi di CasaPound fu quello di chi si vede costretto a difendersi da una imboscata. Lo stesso dirigente di allora della mobile di Cremona, Nicola Lelario, ha riferito che nel filmato agli atti «si vede un gruppo di persone di CasaPound che dal bar si dirige al parcheggio del Foro Boario. Nessuna di loro aveva armi. Successivamente si vedono due persone che tornano velocemente al bar, avvertendo che era in corso una rissa». Il funzionario inoltre ha ribadito che «gli esponenti del Dordoni erano gli unici a essere travisati e armati di spranghe e bastoni».

L’avvocato: «Una testimonianza importantissima»

«La testimonianza resa da questa ragazza è importantissima», ha spiegato l’avvocato Vanessa Bonaiti, che difende i ragazzi di CasaPound con i colleghi Cristiana Speroni, Giuseppe Guarneri, Marcello Lattari e Giovanni Benedini. «Parliamo di una persona che non è vicina a nessuna delle due parti, che è estranea ai fatti, ma che si è trovata presente e ricorda perfettamente che il colpo alla testa è stato inferto da una persona con il volto coperto che lei ritiene essere del centro sociale. Su questo – ha spiegato l’avvocato – centreremo la nostra difesa, considerando anche che è stato ulteriormente ammesso dai testi che le uniche persone preparate allo scontro erano quelle del centro sociale, che avevano caschi integrali e mazze». Per il legale, inoltre, in un processo per rissa, per quanto aggravata, «la contestazione del reato di tentato omicidio, per altro solo a due persone, è difficilmente comprensibile proprio per la difficoltà a capire come si sono svolti i fatti». «La rissa aggravata c’è stata e il processo ovviamente deve proseguire, ma il nostro obiettivo è far cadere il tentato omicidio. Tutto il resto poi si valuterà», ha chiarito ancora l’avvocato Bonaiti, ricordando che alla prossima udienza sono già previsti altri 19 testimoni. Tutti del pm, ovvero non di parte, esattamente come la ragazza che scagiona i militanti di CasaPound.

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  • Alessandra 9 Marzo 2018

    CENTRI SOCIALI FUORILEGGE.